Pare sia la "parola" delle elezioni americane. Cambiamento, "change". Apprendiamo da The Nation, uno dei più antichi e accreditati settimanali americani, che cambiamento è il termine che domina tra i politici, nella propaganda, è tema principale nei sondaggi.
E ovviamente, il principe del cambiamento è Barack Obama. "E' il momento di cambiare" ha annunciato dopo la vittoria nell'Iowa. "Io e Obama abbiamo molte cose in comune entrambi rappresentiamo il cambiamento, Clinton è il passato" ha invece dichiarato il terzo incomodo John Edwards. La risposta di Hillary Clinton? Eccola: "Penso di essere io l'agente del cambiamento. Penso che avere la prima donna presidente sia un cambiamento enorme".
Ma non sono solo i democratici a parlare di cambiamento. Mitt Romney, il candidato mormone del partito repubblicano, ha dichiarato: "Posso dirvi che non mi limito a parlare di cambiamento ma l'ho anche vissuto personalmente lavorando nel settore privato per 25 anni, ho apportato dei cambiamenti in una società dopo l'altra, alle Olimpiadi c'erano dei problemi e io ho fatto dei cambiamenti. Nel Massachessets ho fatto dei cambiamenti, l'ho fatto sul serio. Ho cambiato le cose".Ma se pensate che Romney con questa sua dichiarazione abbia ottenuto l'expolit del cambiamento, beh vi sbagliate. Hillary Clinton ha fatto di meglio. "Voglio cambiare le cose anzi in realtà le ho già cambiate e continuerò a cambiarle. La mia candidatura non si basa su una promessa di cambiamento ma su 35 anni di cambiamento". Ben 5 volte in una frase di 32 parole, il 15,6 per cento.
Naturalmente, questa parola in sè non significa nulla. A creare questo vorticoso interesse per il cambiamento sono stati consulenti politici, esperti di sondaggi, pubblicitari ... un vocabolo astratto che però riassume tutte le apirazioni degli americani. Perchè tutto, scrive The Nation, potrebbe essere un cambiamento, l'assistenza sanitaria nazionale ma anche un epidemia di vaiolo, l'uragano Katrina è stato un cambiamento ma lo è stato anche la guerra in Iraq.Insomma tutto e il contrario di tutto può costituire un cambiamento e spesso più le cose cambiano più rimangono le stesse. E noi italiani in questo siamo dei maestri. Non a caso, lo diceva il principe di Salina nel romanzo “Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". E la politica italiana ne è un esempio perfetto.
Certo, anche da noi il vocabolo ricorre con frequenza. A giugno 2007, Veltroni nella presentazione del nuovo Partito Democratico spiegò che "una nuova Italia chiede un cambiamento profondo, in alcuni casi un cambiamento radicale". E Berlusconi, più o meno nello stesso periodo, dopo le elezioni amministrative annunciò che: "Questo governo è solo una parentesi, una sosta, noi torneremo presto per completare il cambiamento del Paese".C'è però da chiedersi quanto gli italiani credano nel cambiamento promesso da chi li governa. Basterebbero stuoli di pubblicitari, consulenti di comunicazione, esperti di sondaggi a far credere al cambiamento allo stesso modo di quanto sta accadendo negli Usa? Difficile crederlo!
E ovviamente, il principe del cambiamento è Barack Obama. "E' il momento di cambiare" ha annunciato dopo la vittoria nell'Iowa. "Io e Obama abbiamo molte cose in comune entrambi rappresentiamo il cambiamento, Clinton è il passato" ha invece dichiarato il terzo incomodo John Edwards. La risposta di Hillary Clinton? Eccola: "Penso di essere io l'agente del cambiamento. Penso che avere la prima donna presidente sia un cambiamento enorme".
Ma non sono solo i democratici a parlare di cambiamento. Mitt Romney, il candidato mormone del partito repubblicano, ha dichiarato: "Posso dirvi che non mi limito a parlare di cambiamento ma l'ho anche vissuto personalmente lavorando nel settore privato per 25 anni, ho apportato dei cambiamenti in una società dopo l'altra, alle Olimpiadi c'erano dei problemi e io ho fatto dei cambiamenti. Nel Massachessets ho fatto dei cambiamenti, l'ho fatto sul serio. Ho cambiato le cose".Ma se pensate che Romney con questa sua dichiarazione abbia ottenuto l'expolit del cambiamento, beh vi sbagliate. Hillary Clinton ha fatto di meglio. "Voglio cambiare le cose anzi in realtà le ho già cambiate e continuerò a cambiarle. La mia candidatura non si basa su una promessa di cambiamento ma su 35 anni di cambiamento". Ben 5 volte in una frase di 32 parole, il 15,6 per cento.
Naturalmente, questa parola in sè non significa nulla. A creare questo vorticoso interesse per il cambiamento sono stati consulenti politici, esperti di sondaggi, pubblicitari ... un vocabolo astratto che però riassume tutte le apirazioni degli americani. Perchè tutto, scrive The Nation, potrebbe essere un cambiamento, l'assistenza sanitaria nazionale ma anche un epidemia di vaiolo, l'uragano Katrina è stato un cambiamento ma lo è stato anche la guerra in Iraq.Insomma tutto e il contrario di tutto può costituire un cambiamento e spesso più le cose cambiano più rimangono le stesse. E noi italiani in questo siamo dei maestri. Non a caso, lo diceva il principe di Salina nel romanzo “Il gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". E la politica italiana ne è un esempio perfetto.
Certo, anche da noi il vocabolo ricorre con frequenza. A giugno 2007, Veltroni nella presentazione del nuovo Partito Democratico spiegò che "una nuova Italia chiede un cambiamento profondo, in alcuni casi un cambiamento radicale". E Berlusconi, più o meno nello stesso periodo, dopo le elezioni amministrative annunciò che: "Questo governo è solo una parentesi, una sosta, noi torneremo presto per completare il cambiamento del Paese".C'è però da chiedersi quanto gli italiani credano nel cambiamento promesso da chi li governa. Basterebbero stuoli di pubblicitari, consulenti di comunicazione, esperti di sondaggi a far credere al cambiamento allo stesso modo di quanto sta accadendo negli Usa? Difficile crederlo!
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