Dal francese "ballotage", a sua volta derivazione dal veneziano "ballotta" che era “un piccolo oggetto a forma di palla usato nel Medio Evo”, appunto per votare.
Insomma, stiamo parlando di palline colorate. E d'altra parte già nell'antica Grecia i membri delle alte corti di giustizia votavano segretamente con palline, pietre o conchiglie contrassegnate. A Roma nel 139 a.C. fu promulgata una legge che stabiliva un sistema di voto segreto. Da ballotta deriverebbe anche ballottare che sta per votare con le ballotte e via via nel tempo ballottazione, usato – nel 1527 – da Machiavelli. Il recupero di questo termine nella lingua italiana proviene però dal francese. Ma per un certo periodo i linguisti avevano una sorta di riluttanza ad ammetterlo nei vocabolari.
Lo fa per la prima volta Giuseppe Rigutini sul finire dell'Ottocento anche se storcendo un po' la bocca. Scrive: “Si potrebbe dire ‘secondo scrutinio’, ma la voce francese ha preso il sopravvento e a nessuno sarà possibile di cacciarla né con la ragione, né con le lepidezze”.
Alfredo Panzini, critico letterario a cavallo del Novecento, lo giudica inestetico, mentre sono poche le testimonianze letterarie di questo termine: Carducci lo accoglie in una sua lettera, Pirandello in un romanzo. Insomma, a lungo per niente amato, forse per un certo sciovinismo oppure, dicono i maligni, per una forte allergia verso un modello di elezioni che il nostro Dna politico ha sempre stentato a digerire.
Insomma, stiamo parlando di palline colorate. E d'altra parte già nell'antica Grecia i membri delle alte corti di giustizia votavano segretamente con palline, pietre o conchiglie contrassegnate. A Roma nel 139 a.C. fu promulgata una legge che stabiliva un sistema di voto segreto. Da ballotta deriverebbe anche ballottare che sta per votare con le ballotte e via via nel tempo ballottazione, usato – nel 1527 – da Machiavelli. Il recupero di questo termine nella lingua italiana proviene però dal francese. Ma per un certo periodo i linguisti avevano una sorta di riluttanza ad ammetterlo nei vocabolari.
Lo fa per la prima volta Giuseppe Rigutini sul finire dell'Ottocento anche se storcendo un po' la bocca. Scrive: “Si potrebbe dire ‘secondo scrutinio’, ma la voce francese ha preso il sopravvento e a nessuno sarà possibile di cacciarla né con la ragione, né con le lepidezze”.
Alfredo Panzini, critico letterario a cavallo del Novecento, lo giudica inestetico, mentre sono poche le testimonianze letterarie di questo termine: Carducci lo accoglie in una sua lettera, Pirandello in un romanzo. Insomma, a lungo per niente amato, forse per un certo sciovinismo oppure, dicono i maligni, per una forte allergia verso un modello di elezioni che il nostro Dna politico ha sempre stentato a digerire.
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