Dal 1948 ad oggi, evoluzione del turpiloquio

Si arricchisce il dizionario del politically uncorrect. Di certo, però la politica non è nuova alle cosiddette parolacce, anzi, si può dire che ormai le ha sdoganate tutte. Altri tempi quando,
nel 1948, in piena campagna elettorale, due giganti della politica si insultavano con epiteti che oggi farebbero sorridere: "è un agnello dal piede caprino", diceva Alcide De Gasperi del leader comunista Palmiro Togliatti, che gli rispondeva accusandolo di essere "uomo di non troppa grande cultura".

Negli ultimi anni, gli scambi di battute dai toni forti, spesso volgari, non sono stati pochi.
Ad esempio, è stato il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a dare legittimità politica all'espressione coglioni, quando in occasione della campagna elettorale per le politiche del 2006 (vinte poi da Prodi) intervenendo alla Confcommercio, suscito più sorpresa che ilarità con la sua uscita ("ho troppa stima per l'intelligenza degli italiani per credere che ci possano essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse''). Un bel salto, per il Cavaliere che fino ad allora non era andato oltre l'esclamazione cribbio, per manifestare uno stato d'animo oltremodo alterato. Solo pochi giorni prima, nel faccia a faccia televisivo all'americana, il Cavaliere e il Professore se l'erano cantate a vicenda davanti alla telecamera a colpi di ubriaco, utile idiota della sinistra, poveraccio, coniglio.

Ormai dunque i coglioni hanno libero corso nell'agone politico: così ne ha fatto ricorso di recente anche l'ex Presidente del Senato Franco Marini ("gli elettori popolari mica sono dei coglioni"), al quale ha fatto eco Piero Fassino che non ha voluto essere da meno ("gli elettori si incazzano quando pensano che non li stiamo rappresentando bene").

Di sicuro quando l'irritazione supera il livello di guardia tutto può succedere, anche che un sacerdote, sia pure laico come Gianni Baget Bozzo sfiori la bestemmia. E' capitato nel lontano 1998, quando ad un Consiglio nazionale di Forza Italia, nella foga dell'intervento il consigliere di Berlusconi, per dare più forza al suo ragionamento se ne uscì con un perdio ("dobbiamo reagire e combattere, soprattutto in periferia, perdio").

L'approdo in Parlamento di nuove personalità espressione più della società civile che della politica di professione, ha contribuito a istituzionalizzare alcuni insulti. Così resta negli annali il battibecco tra Alessandra Mussolini e Vladimir Luxuria, a suon di fascista e frocio. Nella gara (poco nobile, in verità) si è inserito più volte il leghista Roberto Calderoli che in varie occasioni ha fatto ricorso, nelle sue argomentazioni politiche, al termine culattoni. Con volontà più insultanti che esplicative, l'attuale Ministro della Semplificazione, l'ha utilizzato ad esempio in occasione dell'acceso dibattito sui Pacs. Ma non lo ha disdegnato in altre occasioni, anche lo stesso Umberto Bossi che peraltro è l'alfiere del nuovo corso linguistico: come dimenticare il suo storico grido di battaglia: "la Lega ce l'ha duro".

Talvolta è capitato che il temine colorito sia fuggito e diffuso al pubblico da un microfono indiscreto, come capitò a Lamberto Dini, Presidente del Consiglio (nell'ottobre '95), che durante il dibattito in aula sulla mozione di sfiducia, spazientito dalla maratona oratoria dell'opposizione esclamò "basta, cazzo". Ma anche l'imperturbabile Romano Prodi, nella sue veste di premier, ebbe modo di sibilare in piena aula un vaffanculo all'indirizzo di un parlamentare azzurro.

Non più tardi di un mese fa, il premier Silvio Berlusconi a Benevento si lasciò andare a criticare certa stampa che "sputtana il Paese"; un mese addietro il Ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta aveva accusato "la povera sinistra" di farsi "condizionare da un'elite di merda"., aggiungendo che la "sinistra per male", deve andare "a morire ammazzata".

Ricorrere a parole forti non è comunque una novità della cosiddetta seconda Repubblica. Forse è difficile tenere i nervi (e la lingua) a posto quanto la dialettica politica si fa serrata. Fatto sta che la tentazione di ricorrere talvolta ad espressioni un po' rozze sembra non risparmiare nessuno. Nella passata legislatura, l'allora segretario del Pdci Oliviero Diliberto volle precisare quanto grande fosse la sua distanza politica dal Cavaliere: "Non ho nulla a che vedere con Berlusconi. E voglio farlo capire bene. Bisogna far vedere in tutti i modi che ci fa schifo". Per tutta risposta, si beccò da Paolo Bonaiuti, portavoce del premier, l'accusa di essere un burocrate staliniano.

Né ci andò leggera la dissidente Daniela Santanché, critica nei confronti di Gianfranco Fini, allora leader di An, ma anche di quanti nel partito, a suo dire, erano troppo inclini ad accettare tutte le decisioni del capo: "ci sono troppe palle di velluto, accondiscendenti ai poteri del Re Gianfranco".

Come poi dimenticare quella frase su Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle Brigate rosse, che nel 2002 costò il posto al Viminale a Claudio Scajola: "non fatemi parlare, fatevi dire da Maroni se era una figura centrale. Era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza", rispose ai giornalisti che lo incalzavano. Poi Scajola smentì di aver mai pronunciato quelle parole. Pochi mesi prima Giulio Tremonti aveva definito la nomina di Vincenzo Visco a ministro delle Finanze come la scelta di "affidare l'Avis, l'associazione dei donatori di sangue, a Dracula", sintetizzando poco dopo il concetto affermando che Visco era "un gangster contabile". E a Cernobbio, davanti agli industriali, ribadì come la finanziaria 2001 fosse "l'ultimo esempio in Europa di supply side, una politica da gangster". E di Francesco Rutelli disse: "non voglio dire che sia un terrorista contabile, ma senz'altro un analfabeta contabile".

Parole taglienti, come quelle che Berlusconi, nel 2003 indirizzò all'eurodeputato Martin Shultz nell'emiciclo di Strasburgo, reo di aver criticato la situazione italiana sul conflitto di interessi e gli attacchi alla magistratura: "lei - disse il Cavaliere - può fare la parte del kapò in un film sui nazisti". Successivamente, il leader del Pdl avrebbe bollato Fassino come "testimonial di pompe funebri" e dipinto Fabio Mussi come "uno con la faccia a metà tra un salumiere e Hitler". E, tanto per rimanere in tema di personaggi storici, non si può omettere come Romano Prodi abbia a suo tempo apostrofato con durezza Berlusconi: "rispetto a lui anche Goebbels era un bambino", paragonando il Cavaliere al perfido ministro della propaganda nazista per l'uso "cinico e sfrontato" dei media.

In alcuni casi teatro dei botta e risposta a suon di parolacce e insulti, sono state le aule parlamentari. Come nel 2004 quando Cesare Previti e il deputato diessino Francesco Bonito si scambiarono parole non proprio eleganti: "sei un pezzo di merda", avrebbe detto il parlamentare forzista all'avversario politico che, di rimando, gli avrebbe risposto "lo sei tu, oltre che un noto ladro e delinquente". Stesso mese, dicembre, stesso anno, 2004, evidentemente carico di tensioni politiche. In aula presiede Clemente Mastella, che non accoglie una richiesta del centrosinistra sull'ordine dei lavori e viene apostrofato da Rosy Bindi con un sonoro "vigliacco", condito da un altrettanto pesante "venduto". La replica del leader dell'Udeur, stando a quanto hanno scritto i giornali dell'epoca, sarebbe stata il più classico dei "vaffanculo". (Fonte: Ansa e Adnkronos)

Commenti