Le
parole quando sono usate correttamente, dizionario alla mano, resistono
anche alle sentenze dei tribunali. Il termine boia indica
tecnicamente "colui che ha l'ufficio di eseguire le sentenze di morte" e
usarlo nei confronti di chi l'ufficio lo ha realmente esercitato non
può essere considerato un atto diffamatorio.
Così, dare del 'boia' a
Erick Priebke non vale come offesa perché la parola riproduce
"esattamente" l'attività svolta dall'ex SS "nel corso della seconda
guerra mondiale". Priebke, infatti, "eseguì sentenza di morte" che
portarono all'eccidio delle Fosse Ardearine in cui morirono 335 persone.
E la storia non si può cancellare a colpi di parole.
Per questo motivo,
la Corte di Cassazione ha bocciato il ricorso presentato dalla difesa
di Priebke che chiedeva la condanna con risarcimento danni (oltre cento
milioni di euro) per la diffamazione - a suo dire - subìta in seguito ad
un articolo pubblicato su 'La Repubblica' in cui Priebke veniva
definito boia.
La sentenza arriva dopo che già il Tribunale nonché la Corte d'appello di Roma, nel marzo 2007, erano arrivate alla stessa conclusione. La Cassazione ha confermato il giudizio dei colleghi di merito e, bocciando il ricorso di Priebke, ha osservato che "nessuno dei motivi di doglianza risultano minimamente idonei a scalfire la stringata quanto lapidaria ed incensurabile motivazione adottata dalla corte d'appello che, con il semplice quanto efficace richiamo al significato lessicale del termine così come rinvenuto in un noto vocabolario della lingua italiana, ha condivisibilmente escluso ogni valenza ed ogni contenuto diffamatorio nell'espressione".
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