"Questa è
la storia di uno di noi", cantava nel 1966 Adriano Celentano nella
celebre "Il ragazzo della via Gluck". Quell'"uno di noi" nella politica è
rimasto sepolto
per decenni sacrificato sull'altare dei professionisti della politica, i signori del potere e delle prebende, la casta, I rappresentanti del
"lei non sa chi sono io".
Proprio questa espressione, diventata simbolo della Prima e della Seconda Repubblica, rappresenta la perfetta parabola della politica italiana. Se Totò la usò per apostrofare l'onorevole Trombetta suscitando divertimento e ilarità nel celebre "Totò a colori", sentimenti ben diversi hanno provocato a chi a turno l'ha evocata per pretendere qualcosa o una diversa considerazione: personaggi televisivi come Aida Yespica, parlamentari come Vittorio Sgarbi, Gabriella Carlucci, Renato Schifani, e persino la moglie di Pierluigi Bersani.
La Cassazione un anno fa stabilì che l'espressione può ben rappresentare un reato in quanto equivale ad una minaccia, anticipandone anche l'uscita di scena dai palazzi del potere.
E così è stato. Con l'avvento in Parlamento del Movimento Cinque Stelle di Grillo e - perdonateci l'accostamento - di Papa Francesco in Vaticano, siamo pienamente entrati nell'epoca dell'"uno di noi".
Buona Pasqua a tutti e buon pranzo, così il Pontefice saluta i fedeli di Piazza San Pietro al termine del Regina Coeli. Proprio come fosse "uno di noi". I grillini alla mensa della Camera: proprio come dei normali dipendenti.
Sobrietà, attenzione alle spese. Ben vengano. Ma, come avverte Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera (Sette, n. 12 del 22 marzo 2013), tutto questo "non può bastare". Il Papa è certamente sobrio ma è anche "uomo dallo straordinario carisma, che non sarà sempre così amabile come apparso dalla loggia di San Pietro, anzi ci metterà alla prova con parole anche durissime".
Ed è certamente fatto positivo che "in Parlamento entrino persone normali, che assomigliano a quelle che incontriamo per strada". Ma siamo proprio certi che in Parlamento noi vogliamo persone normali? O magari vorremmo "persone migliori di noi, che sappiano più cose, che conoscano meglio l´economia, che siano in grado di rimettere in moto il Paese".
Insomma, ci può bastare la "grande rivolta contro le élites", autentico ma non esclusivo "propellente dei grillini" semmai "spirito del nostro tempo"? O piuttosto aspiriamo di avere nelle aule dove si decide il futuro del nostro Paese, il suo benessere e quello auspicabile di tutti noi, le eccellenze (e non certo le caste), i meritevoli (e non certo i nomenklati), chi ce l'ha fatta da sé (e non certo i figli di papà)?
Che "lei non sai chi sono io" scompaia, ne siamo tutti lieti. Che l'"uno di noi" sia la nuova regola a prescindere, solleviamo qualche perplessità.
Proprio questa espressione, diventata simbolo della Prima e della Seconda Repubblica, rappresenta la perfetta parabola della politica italiana. Se Totò la usò per apostrofare l'onorevole Trombetta suscitando divertimento e ilarità nel celebre "Totò a colori", sentimenti ben diversi hanno provocato a chi a turno l'ha evocata per pretendere qualcosa o una diversa considerazione: personaggi televisivi come Aida Yespica, parlamentari come Vittorio Sgarbi, Gabriella Carlucci, Renato Schifani, e persino la moglie di Pierluigi Bersani.
La Cassazione un anno fa stabilì che l'espressione può ben rappresentare un reato in quanto equivale ad una minaccia, anticipandone anche l'uscita di scena dai palazzi del potere.
E così è stato. Con l'avvento in Parlamento del Movimento Cinque Stelle di Grillo e - perdonateci l'accostamento - di Papa Francesco in Vaticano, siamo pienamente entrati nell'epoca dell'"uno di noi".
Buona Pasqua a tutti e buon pranzo, così il Pontefice saluta i fedeli di Piazza San Pietro al termine del Regina Coeli. Proprio come fosse "uno di noi". I grillini alla mensa della Camera: proprio come dei normali dipendenti.
Sobrietà, attenzione alle spese. Ben vengano. Ma, come avverte Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera (Sette, n. 12 del 22 marzo 2013), tutto questo "non può bastare". Il Papa è certamente sobrio ma è anche "uomo dallo straordinario carisma, che non sarà sempre così amabile come apparso dalla loggia di San Pietro, anzi ci metterà alla prova con parole anche durissime".
Ed è certamente fatto positivo che "in Parlamento entrino persone normali, che assomigliano a quelle che incontriamo per strada". Ma siamo proprio certi che in Parlamento noi vogliamo persone normali? O magari vorremmo "persone migliori di noi, che sappiano più cose, che conoscano meglio l´economia, che siano in grado di rimettere in moto il Paese".
Insomma, ci può bastare la "grande rivolta contro le élites", autentico ma non esclusivo "propellente dei grillini" semmai "spirito del nostro tempo"? O piuttosto aspiriamo di avere nelle aule dove si decide il futuro del nostro Paese, il suo benessere e quello auspicabile di tutti noi, le eccellenze (e non certo le caste), i meritevoli (e non certo i nomenklati), chi ce l'ha fatta da sé (e non certo i figli di papà)?
Che "lei non sai chi sono io" scompaia, ne siamo tutti lieti. Che l'"uno di noi" sia la nuova regola a prescindere, solleviamo qualche perplessità.
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