Femminicidio, una parola per esprimere la violenza sulle donne

Il femminicidio è ormai una vera emergenza. Non passa giorno che le cronache dei giornali non ci descrivono un nuovo caso di violenza sulle donne.

Sono state 103 nel 2012, abbiamo già superato quota 80 quest'anno e siamo appena al mese di agosto. Sono le donne uccise dagli uomini. Ci voleva una parola che descrivesse questo drammatico fenomeno, ci vogliono provvedimenti ma anche un cambio culturale per frenare una tal violenza. Ma qui ci fermiamo alla parola: c'è chi l'ha definita brutta, chi goffa, chi inappropriata. Al di là dei gusti di ciascuno, 'femminicidio' è una parola esatta, fa luce su un crimine che si nascondeva tra le pieghe di altre parole: omicidio, uxoricidio.

Ma se esistono i morti per mafia, le vittime della strada, gli infanticidi, è giusto e corretto che questi crimini trovino un'unica cornice lessicale: donne uccise da mariti, compagni, conviventi, fidanzati, chi abbandonato, chi rifiutato. E il crimine che si compie spesso non si consuma solo - come se non bastasse - con l'uccisione, ma c'è anche un voler infierire, un voler distruggere la donna in quanto tale. La parola 'femminicidio' esprime, come ha ben spiegato l'esperta di lingua italiana Valeria Della Valle ospite di Radio Radio il 12 agosto, "tutta la violenza che c'è in questo tipo particolare di uccisione".

Il termine femminicidio è diventato estremamente popolare, suo malgrado, per denunciare le oltre mille vittime donne, sparite o assassinate, in 30 anni nella città messicana Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti. Ma è un termine che, sottolinea Della Valle, "troviamo già in testi di casa nostra di fine Ottocento. E' quindi una parola pienamente italiana". E la realtà di questi ultimi anni l'ha tremendamente riportata d'attualità.

Questo articolo è stato pubblicato sul blog 'Il Salvalingua' su radioradio.it
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