Nomade è una parola discriminatoria? Secondo il sindaco di Roma Marino sì, tanto da averne deciso la sua abolizione negli atti dell'amministrazione comunale. Secondo l'Opera Nomadi no, che semmai punta il dito sul termine 'zingari'.
Il dibattito è sorto all'indomani della recente circolare di Ignazio Marino che stabilisce come «nelle espressioni della comunicazione istituzionale e nella redazione degli atti amministrativi - in luogo del riferimento al termine 'nomadi' sia più correttamente utilizzato quello di "Rom, Sinti e Caminanti".»
Per Marino, «uno dei fattori centrali per superare le discriminazioni» è quello culturale. E proprio «la proprietà terminologica» costituisce un «indice e strumento culturale per esprimere lo spessore di conoscenza e consapevolezza degli ambiti su cui si è chiamati ad intervenire». Nel linguaggio comune, avverte il primo cittadino, «le comunità Rom, Sinti e Caminanti vengano impropriamente indicate con il termine di “nomadi”». Un segnale chiaro di una ghettizzazione che inizia dal vocabolario. Per cui, d'ora in poi, gli uffici capitolini dovranno per primi dare il buon esempio e cancellare da ogni documento che esce dal Campidoglio il termine incriminato.
Esagerazioni linguistiche? oppure legittima seppure «apparentemente semplice attenzione terminologica» che diventa «atto simbolico per il superamento di ogni forma di discriminazione»? La questione è controversa. E investe aspetti di diversa natura, da quello lessicale a quello più prettamente politico.
Massimo Converso, presidente dell'Opera Nomadi, sostiene che la parola in sé "non è un insulto, loro non vogliono essere chiamati zingari" e "cancellare il nome è stato un errore storico e antropologico".
Secondo Amnesty International invece "un cambio di linguaggio è necessario" e si ricorda come "per decenni l'uso della parola 'nomadi' ha giustificato politiche volte alla segregazione dei rom in 'campi', basandosi sul presupposto che - essendo i rom 'nomadi' - i campi fossero adatti a loro". In questo modo, spiega l'organizzazione per i diritti umani, sono stati "dissimulati gli intenti ed effetti discriminatori di politiche indirizate a un gruppo etnico, in violazione del diritto internazionale".
Luca Mastrantonio, giornalista del Corriere della Sera, ha scritto sul suo blog che "Marino, da medico, sa che una corretta diagnosi è fondamentale per intervenire; ma sa anche che la complicazione terminologica, la confusione, la comprensione poco immediata del problema non aiuta la sua risoluzione. Servono, forse, interventi politici concreti più che astratte circolari da Accademia della Crusca".
Tutte le opinioni, da chi è favorevole a chi solleva dubbi e perplessità, convergono comunque su un punto. Le parole non bastano, servono atti concreti. Interventi che aiutino a superare quella sensazione di 'eterna emergenza' (o almeno così viene avvertita dall'opinione pubblica) con cui la politica approccia alla integrazione e inclusione di queste comunità.
E' chiaro che il termine 'nomade' in sè non ha alcuna connotazione negativa, basta leggersi cosa scrive in proposito il sito della Treccani: "Di gruppo etnico che pratica il nomadismo (...) Di persona o gruppo che non ha fissa dimora e muta frequentemente residenza, o che si sposta continuamente da un luogo a un altro (anche per motivi inerenti all’attività svolta)". Ma ogni parola perde la sua neutralità nel momento in cui viene usata. E l'attenzione della comunità internazionale rispetto alle parole usate rispetto a questi gruppi di persone è altissima.
L'Osce ha già invitato il nostro Paese a mettere da parte il termine 'nomade' e l'Europa da tempo ricorre al generico 'rom' per designare comunità come "Sinti, Travellers, Kalé, Gens de voyage, che siano sedentari o meno".
C'è infine un aspetto di coerenza linguistica. In Italia, secondo le più recenti stime, i cittadini Rom, Sinti e Caminanti sarebbero circa 170mila, a Roma la presenza più importante con circa 8mila persone. Si tratta, però, di una popolazione che, tranne una bassissima percentuale, ormai non può più definirsi nomade. "Non c'è più la caratteristica del nomadismo ma c'è in realtà la stabilità - ha recentemente spiegato Daniela Pompei, Comunità di Sant'Egidio, in audizione nella commissione Diritti Umani del Senato - una stabilità che caratterizza tutte le comunità dei rom a Roma e nel Lazio, non più soggette a grossi spostamenti, tranne forse gli ultimi arrivati".
Non solo. I numeri dicono che quasi la metà di queste comunità sono cittadini italiani e un'altra porzione importante è rappresentata da cittadini europei, romeni e bulgari in particolare. Materia, dunque, spinosa. E (mi consentirete la licenza per un iperbolico gioco di parole) fonte di ispirazione per 'Spinoza' e il suo dissacrante e 'no politically correct' forum. Che, sulla scelta del sindaco Marino, ha scatenato una affollatissima bacheca di 'massime'. Qualche esempio (ovviamente, tra quelli che è possibile citare)? «Marino abolisce la parola “nomade”: "ok, problema risolto, adesso passiamo alle buche, o come preferisco chiamarle io 'scavi volti a riportare alla luce l'asfalto originario'"». O ancora: «Marino abolisce la parola “nomade”. Adesso si chiamano "diversamente stanziali"».
(Questo articolo è pubblicato anche sul sito del Quotidiano del Lazio)
Il dibattito è sorto all'indomani della recente circolare di Ignazio Marino che stabilisce come «nelle espressioni della comunicazione istituzionale e nella redazione degli atti amministrativi - in luogo del riferimento al termine 'nomadi' sia più correttamente utilizzato quello di "Rom, Sinti e Caminanti".»
Per Marino, «uno dei fattori centrali per superare le discriminazioni» è quello culturale. E proprio «la proprietà terminologica» costituisce un «indice e strumento culturale per esprimere lo spessore di conoscenza e consapevolezza degli ambiti su cui si è chiamati ad intervenire». Nel linguaggio comune, avverte il primo cittadino, «le comunità Rom, Sinti e Caminanti vengano impropriamente indicate con il termine di “nomadi”». Un segnale chiaro di una ghettizzazione che inizia dal vocabolario. Per cui, d'ora in poi, gli uffici capitolini dovranno per primi dare il buon esempio e cancellare da ogni documento che esce dal Campidoglio il termine incriminato.
Esagerazioni linguistiche? oppure legittima seppure «apparentemente semplice attenzione terminologica» che diventa «atto simbolico per il superamento di ogni forma di discriminazione»? La questione è controversa. E investe aspetti di diversa natura, da quello lessicale a quello più prettamente politico.
Massimo Converso, presidente dell'Opera Nomadi, sostiene che la parola in sé "non è un insulto, loro non vogliono essere chiamati zingari" e "cancellare il nome è stato un errore storico e antropologico".
Secondo Amnesty International invece "un cambio di linguaggio è necessario" e si ricorda come "per decenni l'uso della parola 'nomadi' ha giustificato politiche volte alla segregazione dei rom in 'campi', basandosi sul presupposto che - essendo i rom 'nomadi' - i campi fossero adatti a loro". In questo modo, spiega l'organizzazione per i diritti umani, sono stati "dissimulati gli intenti ed effetti discriminatori di politiche indirizate a un gruppo etnico, in violazione del diritto internazionale".
Luca Mastrantonio, giornalista del Corriere della Sera, ha scritto sul suo blog che "Marino, da medico, sa che una corretta diagnosi è fondamentale per intervenire; ma sa anche che la complicazione terminologica, la confusione, la comprensione poco immediata del problema non aiuta la sua risoluzione. Servono, forse, interventi politici concreti più che astratte circolari da Accademia della Crusca".
Tutte le opinioni, da chi è favorevole a chi solleva dubbi e perplessità, convergono comunque su un punto. Le parole non bastano, servono atti concreti. Interventi che aiutino a superare quella sensazione di 'eterna emergenza' (o almeno così viene avvertita dall'opinione pubblica) con cui la politica approccia alla integrazione e inclusione di queste comunità.
E' chiaro che il termine 'nomade' in sè non ha alcuna connotazione negativa, basta leggersi cosa scrive in proposito il sito della Treccani: "Di gruppo etnico che pratica il nomadismo (...) Di persona o gruppo che non ha fissa dimora e muta frequentemente residenza, o che si sposta continuamente da un luogo a un altro (anche per motivi inerenti all’attività svolta)". Ma ogni parola perde la sua neutralità nel momento in cui viene usata. E l'attenzione della comunità internazionale rispetto alle parole usate rispetto a questi gruppi di persone è altissima.
L'Osce ha già invitato il nostro Paese a mettere da parte il termine 'nomade' e l'Europa da tempo ricorre al generico 'rom' per designare comunità come "Sinti, Travellers, Kalé, Gens de voyage, che siano sedentari o meno".
C'è infine un aspetto di coerenza linguistica. In Italia, secondo le più recenti stime, i cittadini Rom, Sinti e Caminanti sarebbero circa 170mila, a Roma la presenza più importante con circa 8mila persone. Si tratta, però, di una popolazione che, tranne una bassissima percentuale, ormai non può più definirsi nomade. "Non c'è più la caratteristica del nomadismo ma c'è in realtà la stabilità - ha recentemente spiegato Daniela Pompei, Comunità di Sant'Egidio, in audizione nella commissione Diritti Umani del Senato - una stabilità che caratterizza tutte le comunità dei rom a Roma e nel Lazio, non più soggette a grossi spostamenti, tranne forse gli ultimi arrivati".
Non solo. I numeri dicono che quasi la metà di queste comunità sono cittadini italiani e un'altra porzione importante è rappresentata da cittadini europei, romeni e bulgari in particolare. Materia, dunque, spinosa. E (mi consentirete la licenza per un iperbolico gioco di parole) fonte di ispirazione per 'Spinoza' e il suo dissacrante e 'no politically correct' forum. Che, sulla scelta del sindaco Marino, ha scatenato una affollatissima bacheca di 'massime'. Qualche esempio (ovviamente, tra quelli che è possibile citare)? «Marino abolisce la parola “nomade”: "ok, problema risolto, adesso passiamo alle buche, o come preferisco chiamarle io 'scavi volti a riportare alla luce l'asfalto originario'"». O ancora: «Marino abolisce la parola “nomade”. Adesso si chiamano "diversamente stanziali"».
(Questo articolo è pubblicato anche sul sito del Quotidiano del Lazio)
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