(di Aldo Cazzullo, da Corriere della Sera/Sette del 4 aprile 2014)
Confesso che Totti non mi è mai stato troppo simpatico. Non lui come persona, che anzi è in gamba, autoironico, divertente. Ma il mito di Totti mi è sempre parso più da paesone di provincia che da grande capitale europea. Detto questo, Francesco Totti è stato oggettivamente il più forte calciatore italiano degli ultimi anni. Ora che è arrivato a 700 presenze nella Roma e a un passo dal ritiro, giustamente la sua società lo celebra. Leggo su Repubblica del 28 marzo che il patron James Pallotta annuncia: «Ritireremo la maglia».
Fin qui, tutto normale. Poi, la precisazione: «Non sarà roba di un'ora. Durerà almeno un mese». Ma come: un mese? Forse è stato un errore di traduzione: Pallotta intendeva "non durerà né un'ora né un mese". Forse è un errore e basta. In ogni caso, questa piccola (per i non romanisti) vicenda conferma una tendenza del nostro tempo, che va molto al di là di Totti e del calcio: la difficoltà, se non l'impossibilità, di dire "per sempre", o comunque "sine die", senza stabilire o sottintendere una fine incorporata.
Matrimoni che si sciolgono dopo poche settimane. Contratti di lavoro solo a tempo determinato. Premier che scadono dopo sei mesi (questa in effetti è una vecchia abitudine; anche se non sarà il caso di Renzi). Storie da una notte e via. Amicizie che durano lo spazio di una gita. Aziende di successo che declinano all'improvviso. Telefonini già da buttare. Il mondo ha accelerato. Non è la prima volta che succede: pensate a com'è cambiata la vita dei nostri nonni o bisnonni, nati in un'Italia che andava a cavallo o a piedi e morti con le autostrade e gli aerei. Ma qui non è solo questione di progresso tecnologico. È questa frenesia di consumare tutto, sesso, amore, affetti, idee, fedi, opinioni, orientamenti politici. Non è una tendenza solo italiana, ma da noi si manifesta con particolare virulenza.
L'Italia è un Paese profondamente conservatore, all'apparenza immutabile, bloccato in interminabili bonacce apparenti. Poi il mutamento arriva all'improvviso, e non è vero che tutto cambia perché nulla cambi: tutto entra nel frullatore della frenesia, dell'ansia, della sovversione nichilista, in cui non ci si muove ma ci si agita, non ci sono gesti ma tic, non si prendono decisioni ma si segue la corrente. Fino a quando si comincia a sentire il rombo sinistro della cascata. Allora ci si vorrebbe fermare. Ma è troppo tardi. (...)
Confesso che Totti non mi è mai stato troppo simpatico. Non lui come persona, che anzi è in gamba, autoironico, divertente. Ma il mito di Totti mi è sempre parso più da paesone di provincia che da grande capitale europea. Detto questo, Francesco Totti è stato oggettivamente il più forte calciatore italiano degli ultimi anni. Ora che è arrivato a 700 presenze nella Roma e a un passo dal ritiro, giustamente la sua società lo celebra. Leggo su Repubblica del 28 marzo che il patron James Pallotta annuncia: «Ritireremo la maglia».
Fin qui, tutto normale. Poi, la precisazione: «Non sarà roba di un'ora. Durerà almeno un mese». Ma come: un mese? Forse è stato un errore di traduzione: Pallotta intendeva "non durerà né un'ora né un mese". Forse è un errore e basta. In ogni caso, questa piccola (per i non romanisti) vicenda conferma una tendenza del nostro tempo, che va molto al di là di Totti e del calcio: la difficoltà, se non l'impossibilità, di dire "per sempre", o comunque "sine die", senza stabilire o sottintendere una fine incorporata.
Matrimoni che si sciolgono dopo poche settimane. Contratti di lavoro solo a tempo determinato. Premier che scadono dopo sei mesi (questa in effetti è una vecchia abitudine; anche se non sarà il caso di Renzi). Storie da una notte e via. Amicizie che durano lo spazio di una gita. Aziende di successo che declinano all'improvviso. Telefonini già da buttare. Il mondo ha accelerato. Non è la prima volta che succede: pensate a com'è cambiata la vita dei nostri nonni o bisnonni, nati in un'Italia che andava a cavallo o a piedi e morti con le autostrade e gli aerei. Ma qui non è solo questione di progresso tecnologico. È questa frenesia di consumare tutto, sesso, amore, affetti, idee, fedi, opinioni, orientamenti politici. Non è una tendenza solo italiana, ma da noi si manifesta con particolare virulenza.
L'Italia è un Paese profondamente conservatore, all'apparenza immutabile, bloccato in interminabili bonacce apparenti. Poi il mutamento arriva all'improvviso, e non è vero che tutto cambia perché nulla cambi: tutto entra nel frullatore della frenesia, dell'ansia, della sovversione nichilista, in cui non ci si muove ma ci si agita, non ci sono gesti ma tic, non si prendono decisioni ma si segue la corrente. Fino a quando si comincia a sentire il rombo sinistro della cascata. Allora ci si vorrebbe fermare. Ma è troppo tardi. (...)
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