Se 'webete', il (presunto) neologismo inventato da Enrico Mentana, è diventato il tormentone di questa coda d'estate,
arrivando a indurre persino l'Accademia della Crusca a twittare che
"sicuramente potrebbe venire registrato nei vocabolari, se continuerete a
usarlo", vuol dire che siamo messi proprio male. Già perchè webete
è la versione 2.0 del 'decerebrato' in rete, di chi usa i social media
per scrivere idiozie, alimentare complottismi, cavalcare populismi,
esprimere sentimenti di intolleranza se non di razzismo. Insomma,
l'ottusità e l'idiozia del Nuovo Millennio che si esprime nel 'bar dello
sport' contemporaneo quali sono ambienti virtuali (ma non sempre
virtuosi) come Facebook e Twitter.
"I social media - sosteneva Umberto Eco - danno diritto di
parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un
bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività, e
venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di
parola di un Premio Nobel".
La storia è ormai nota. Il direttore del Tg
La7 risponde su Facebook ad un utente che in un post polemizzava sul
fatto che "i terroristi rifugiati" stanno "negli alberghi serviti e
riveriti" mentre i terremotati "staranno nelle tende" a lungo. Risposta
netta di Mentana: "Mi stavo giusto chiedendo se sarebbe spuntato fuori
un altro così decerebrato da pensare e poi scrivere una simile idiozia.
Lei è un webete".
Webete diventa fenomeno virale, viene candidato a parola dell'anno in pochi giorni sotterrando in un sol colpo
il (non troppo) sotterraneo allarme lanciato da Mentana sul degrado
sociale che avvelena i social (media). Per la cronaca, non possiamo
considerarlo un vero e proprio neologismo, visto che una prima
attestazione di webete risale al 1998 ma in gergo telematico per
definire un "utente che considera Internet composta solamente dalla WWW"
(fonte: xmau.com). Ma con Mentana, il webete cambia completamente
significato, si trasforma in parola macedonia (web + ebete) e lascia il
gergo specialistico e tecnico dove finora era esiliato nella ignoranza
dei più. Anche questo, in fondo, è un segno dei tempi.
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