Pubblicato su: Treccani.it
I cetrioli devono avere una determinata curvatura, le fragole la forma ovale, bandito il forno a legna per la cottura della pizza, battesimo vietato dalla Corte europea, ritiro della patente a chi ha più di 60 anni. Quando le false notizie non erano ancora fake news, in Europa già circolavano le eurobufale o euromiti. Stiamo parlando di informazioni inventate oppure completamente distorte che hanno a che fare con l'Unione Europea e le sue istituzioni e diffuse dai media, soprattutto britannici. La prima risalirebbe al 1994, quando circolò la notizia che Bruxelles avrebbe vietato la vendita di banane 'ricurve'. Notizia gonfiata ma che nasceva da una decisione reale della Commissione europea che regolamentava la catalogazione per lunghezza, assenza di difetti, eventuale 'curvatura abnorme' dell'esotico frutto. La più recente è di poche settimane fa e riguarda il pagamento dei sacchetti per la frutta e la verdura. La Commissione UE per sfatare veri o presunti miti ha ormai aperto una sezione del proprio sito, usando l’hastag #UEVeroFalso. Resta il fatto che le eurobufale hanno sempre rappresentato agli occhi di attenti osservatori una cartina di tornasole di una certa insofferenza verso la burocrazia di Bruxelles, i grigi eurocrati capaci di usare un linguaggio comprensibile solo agli addetti ai lavori. Stereotipi, luoghi comuni? In gran parte sì, ma c'è anche un'altra verità che si è consolidata nel tempo. Lo spiegano bene Massimo Giacomini e Nicoletta Spina nell'introduzione di Euromiti, volume che nel 2006 raccolse le più significative eurobufale: «L'integrazione (europea) passa anche attraverso quegli atti che possono sembrare inutili, superflui e alle volte controproducenti. È necessario spiegare che così non è, basta tradurre in linguaggio semplice quello che ad una prima lettura pare essere l'apoteosi della burocrazia».
La comunicazione sull'Europa ha sempre vissuto negli anni questa difficoltà: incapacità di arrivare ai cittadini associata spesso all’indifferenza dell'opinione pubblica che si è via via trasformata in diffidenza se non in scetticismo. E quello che era un problema di comunicazione è diventato anche un tema di legittimità democratica. Eppure, l'Europa ha sempre prodotto un’enorme quantità di informazioni tra strumenti, prodotti, siti web, campagne di comunicazione. Insomma, un deficit di comunicazione che si è accompagnato a un surplus d'informazione. Un paradosso. «L'Europa buca il video quando viene presentata come un Moloch che impone le proprie decisioni e richiede sacrifici. Oppure, come spesso accaduto nel nostro Paese, riversa sull'Europa le problematiche o il dibattito nazionali», spiegava qualche anno fa Alessio Cornia nel libro Notizie da Bruxelles. In questo quadro d'insieme, si colloca anche la comunicazione del Dipartimento per le Politiche Europee, una costola della Presidenza del Consiglio, che ha il delicato ruolo di favorire il dialogo tra istituzioni italiane e europee nel processo di integrazione UE. Il Dipartimento nasce come struttura 'tecnica', ma centrale nel coordinare i delicati rapporti tra Italia e Unione Europea nelle fasi della formazione della normativa europea e del suo recepimento nell'ordinamento italiano. Ma, tra le sue competenze, ha anche «la comunicazione e l'informazione sull'UE, in particolare sull'accesso alle politiche, ai programmi, alle opportunità, ai diritti». Un concetto molto ampio e trasversale che nel corso degli anni il Dipartimento ha cercato di sviluppare con partenariati con le istituzioni europee e accordi con le altre amministrazioni, in particolare il Ministero dell'Istruzione. Proprio il lavoro con il mondo della scuola è stato tra i più proficui soprattutto grazie al progetto "Europa=Noi", nato come cd-multimediale e poi evolutosi in piattaforma digitale, che offre a docenti delle scuole primarie e secondarie materiali e strumenti digitali, giochi interattivi, tornei online per realizzare un percorso didattico sulla storia e i valori dell'UE nelle proprie classi. Il progetto è ormai una best practice a livello europeo e conta sull'adesione di oltre 10mila docenti italiani.
Il Dipartimento ha sempre oscillato tra una comunicazione più “ingessata”, perché legata alla vocazione molto tecnicistica della struttura (normativa europea, procedure di infrazione, aiuti di Stato, tanto per citare alcuni temi prioritari), e quindi indirizzata soprattutto a stakeholder addetti ai lavori e a giornalisti e comunicatori di settore, e una comunicazione più vicina al cittadino attraverso l’individuazione di precisi pubblici di riferimento: il mondo scolastico, ma anche, ad esempio, l'enorme galassia di soggetti interessati al tema dei finanziamenti europei, grazie a un progetto formativo e informativo dedicato ai fondi diretti dell'UE.
Due fattori hanno però giocato negli ultimi anni a favore di un ulteriore salto in avanti nella comunicazione istituzionale del Dipartimento come della Pubblica Amministrazione in generale: le nuove tecnologie digitali e i social network. Twitter, Facebook, Instagram non sono soltanto la nuova finestra sul mondo a disposizione dei cittadini per informarsi e mobilitarsi direttamente e in tempi brevissimi. I social media rappresentano anche una straordinaria opportunità per comunicare al e con il cittadino saltando ogni mediazione. Se oltre il 48% degli italiani discute e si informa dei servizi della Pubblica Amministrazione proprio tramite i social network, la comunicazione attraverso questi canali non è più una scelta, ma un dovere degli enti pubblici. E comunicare su questi canali ha completamente riscritto non solo i rapporti tra PA e cittadino, favorendo un sistema di relazione diretta e immediata, ma anche il modo di comunicare della PA. Twitter e Facebook sono riusciti in pochissimi anni là dove non hanno ottenuto gli esiti attesi leggi, direttive, circolari, imponendo di fatto un linguaggio completamente sburocratizzato e informale. La necessità di sintesi, l'uso di hastag, le emoticon, grafici e immagini: i social media hanno trasformato le strategie di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, costretto gli uffici comunicazione a misurarsi con una lingua diversa, meno formale, più diretta e colloquiale. Non solo. I social media hanno trasformato anche la più generale comunicazione via web visto che, come dimostrano studi e statistiche, la home page di un sito (anche e soprattutto di una istituzione) non rappresenta più la porta di ingresso principale per arrivare alle notizie che interessano il cittadino.
Anche le nuove tecnologie digitali possono aiutare la PA a comunicare in modo più efficace. Una mostra sull'Europa può destare più curiosità e interesse soprattutto tra i più giovani se la visita diventa una esperienza interattiva. Lo scorso anno L'Italia in Europa - L'Europa in Italia, mostra che racconta i momenti più importanti dell'integrazione europea, si è arricchita di un progetto di realtà aumentata. Ad alcune foto sono associati dei contenuti video che si attivano grazie a un'app. Sono già alcune migliaia gli studenti che nelle otto tappe, da Roma a Milano, da Catania a Verona, hanno potuto sperimentare il progetto. Ma non è necessario visitare l'esposizione per scoprire di cosa si tratta: è sufficiente collegarsi a questa pagina web della mostra, scaricare gratuitamente l'app e inquadrare con il proprio smartphone o tablet la foto: si attiverà in automatico un contenuto speciale. Comunicare l'Europa può diventare un'esperienza diversa e più interessante.
Massimo Persotti
(Direttore della Newsletter del Dipartimento per le Politiche Europee – Presidenza del Consiglio dei Ministri)
I cetrioli devono avere una determinata curvatura, le fragole la forma ovale, bandito il forno a legna per la cottura della pizza, battesimo vietato dalla Corte europea, ritiro della patente a chi ha più di 60 anni. Quando le false notizie non erano ancora fake news, in Europa già circolavano le eurobufale o euromiti. Stiamo parlando di informazioni inventate oppure completamente distorte che hanno a che fare con l'Unione Europea e le sue istituzioni e diffuse dai media, soprattutto britannici. La prima risalirebbe al 1994, quando circolò la notizia che Bruxelles avrebbe vietato la vendita di banane 'ricurve'. Notizia gonfiata ma che nasceva da una decisione reale della Commissione europea che regolamentava la catalogazione per lunghezza, assenza di difetti, eventuale 'curvatura abnorme' dell'esotico frutto. La più recente è di poche settimane fa e riguarda il pagamento dei sacchetti per la frutta e la verdura. La Commissione UE per sfatare veri o presunti miti ha ormai aperto una sezione del proprio sito, usando l’hastag #UEVeroFalso. Resta il fatto che le eurobufale hanno sempre rappresentato agli occhi di attenti osservatori una cartina di tornasole di una certa insofferenza verso la burocrazia di Bruxelles, i grigi eurocrati capaci di usare un linguaggio comprensibile solo agli addetti ai lavori. Stereotipi, luoghi comuni? In gran parte sì, ma c'è anche un'altra verità che si è consolidata nel tempo. Lo spiegano bene Massimo Giacomini e Nicoletta Spina nell'introduzione di Euromiti, volume che nel 2006 raccolse le più significative eurobufale: «L'integrazione (europea) passa anche attraverso quegli atti che possono sembrare inutili, superflui e alle volte controproducenti. È necessario spiegare che così non è, basta tradurre in linguaggio semplice quello che ad una prima lettura pare essere l'apoteosi della burocrazia».
«Presentata come un Moloch»
La comunicazione sull'Europa ha sempre vissuto negli anni questa difficoltà: incapacità di arrivare ai cittadini associata spesso all’indifferenza dell'opinione pubblica che si è via via trasformata in diffidenza se non in scetticismo. E quello che era un problema di comunicazione è diventato anche un tema di legittimità democratica. Eppure, l'Europa ha sempre prodotto un’enorme quantità di informazioni tra strumenti, prodotti, siti web, campagne di comunicazione. Insomma, un deficit di comunicazione che si è accompagnato a un surplus d'informazione. Un paradosso. «L'Europa buca il video quando viene presentata come un Moloch che impone le proprie decisioni e richiede sacrifici. Oppure, come spesso accaduto nel nostro Paese, riversa sull'Europa le problematiche o il dibattito nazionali», spiegava qualche anno fa Alessio Cornia nel libro Notizie da Bruxelles. In questo quadro d'insieme, si colloca anche la comunicazione del Dipartimento per le Politiche Europee, una costola della Presidenza del Consiglio, che ha il delicato ruolo di favorire il dialogo tra istituzioni italiane e europee nel processo di integrazione UE. Il Dipartimento nasce come struttura 'tecnica', ma centrale nel coordinare i delicati rapporti tra Italia e Unione Europea nelle fasi della formazione della normativa europea e del suo recepimento nell'ordinamento italiano. Ma, tra le sue competenze, ha anche «la comunicazione e l'informazione sull'UE, in particolare sull'accesso alle politiche, ai programmi, alle opportunità, ai diritti». Un concetto molto ampio e trasversale che nel corso degli anni il Dipartimento ha cercato di sviluppare con partenariati con le istituzioni europee e accordi con le altre amministrazioni, in particolare il Ministero dell'Istruzione. Proprio il lavoro con il mondo della scuola è stato tra i più proficui soprattutto grazie al progetto "Europa=Noi", nato come cd-multimediale e poi evolutosi in piattaforma digitale, che offre a docenti delle scuole primarie e secondarie materiali e strumenti digitali, giochi interattivi, tornei online per realizzare un percorso didattico sulla storia e i valori dell'UE nelle proprie classi. Il progetto è ormai una best practice a livello europeo e conta sull'adesione di oltre 10mila docenti italiani.
Gli addetti ai lavori e il cittadino
Il Dipartimento ha sempre oscillato tra una comunicazione più “ingessata”, perché legata alla vocazione molto tecnicistica della struttura (normativa europea, procedure di infrazione, aiuti di Stato, tanto per citare alcuni temi prioritari), e quindi indirizzata soprattutto a stakeholder addetti ai lavori e a giornalisti e comunicatori di settore, e una comunicazione più vicina al cittadino attraverso l’individuazione di precisi pubblici di riferimento: il mondo scolastico, ma anche, ad esempio, l'enorme galassia di soggetti interessati al tema dei finanziamenti europei, grazie a un progetto formativo e informativo dedicato ai fondi diretti dell'UE.
La via dei social media
Due fattori hanno però giocato negli ultimi anni a favore di un ulteriore salto in avanti nella comunicazione istituzionale del Dipartimento come della Pubblica Amministrazione in generale: le nuove tecnologie digitali e i social network. Twitter, Facebook, Instagram non sono soltanto la nuova finestra sul mondo a disposizione dei cittadini per informarsi e mobilitarsi direttamente e in tempi brevissimi. I social media rappresentano anche una straordinaria opportunità per comunicare al e con il cittadino saltando ogni mediazione. Se oltre il 48% degli italiani discute e si informa dei servizi della Pubblica Amministrazione proprio tramite i social network, la comunicazione attraverso questi canali non è più una scelta, ma un dovere degli enti pubblici. E comunicare su questi canali ha completamente riscritto non solo i rapporti tra PA e cittadino, favorendo un sistema di relazione diretta e immediata, ma anche il modo di comunicare della PA. Twitter e Facebook sono riusciti in pochissimi anni là dove non hanno ottenuto gli esiti attesi leggi, direttive, circolari, imponendo di fatto un linguaggio completamente sburocratizzato e informale. La necessità di sintesi, l'uso di hastag, le emoticon, grafici e immagini: i social media hanno trasformato le strategie di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, costretto gli uffici comunicazione a misurarsi con una lingua diversa, meno formale, più diretta e colloquiale. Non solo. I social media hanno trasformato anche la più generale comunicazione via web visto che, come dimostrano studi e statistiche, la home page di un sito (anche e soprattutto di una istituzione) non rappresenta più la porta di ingresso principale per arrivare alle notizie che interessano il cittadino.
La mostra e l’app
Anche le nuove tecnologie digitali possono aiutare la PA a comunicare in modo più efficace. Una mostra sull'Europa può destare più curiosità e interesse soprattutto tra i più giovani se la visita diventa una esperienza interattiva. Lo scorso anno L'Italia in Europa - L'Europa in Italia, mostra che racconta i momenti più importanti dell'integrazione europea, si è arricchita di un progetto di realtà aumentata. Ad alcune foto sono associati dei contenuti video che si attivano grazie a un'app. Sono già alcune migliaia gli studenti che nelle otto tappe, da Roma a Milano, da Catania a Verona, hanno potuto sperimentare il progetto. Ma non è necessario visitare l'esposizione per scoprire di cosa si tratta: è sufficiente collegarsi a questa pagina web della mostra, scaricare gratuitamente l'app e inquadrare con il proprio smartphone o tablet la foto: si attiverà in automatico un contenuto speciale. Comunicare l'Europa può diventare un'esperienza diversa e più interessante.
Massimo Persotti
(Direttore della Newsletter del Dipartimento per le Politiche Europee – Presidenza del Consiglio dei Ministri)
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