“Se non usiamo le maniere forti contro i
trafficanti, non otterremo niente. E le maniere forti comprendono la
pena di morte”. Trump lancia la crociata contro quella che definisce
“l’epidemia di oppiacei” proponendo ufficialmente nel suo piano di lotta
contro questa emergenza, Stop Opiud Abuse, anche la condanna più dura.
“Dobbiamo cambiare le leggi, e stiamo lavorandoci ora”, ha spiegato,
smentendo Andrew Bremberg, direttore della politica interna della Casa
Bianca, il quale aveva anticipato che non si sarebbe fatto ricorso a
nuove leggi ma a quelle già esistenti, che consentono la pena di morte a
livello federale per le morti causate da overdose, anche se alcuni
esperti la considerano incostituzionale. “Gli Usa devono essere duri
contro la droga e la durezza include la pena di morte”, ha ammonito il
tycoon, lasciando al dipartimento di Giustizia il compito di indicare i
casi per i quali applicare le nuove misure.
E proprio da Singapore, qualche giorno fa, è arrivata la notizia della seconda esecuzione del 2018. Hishamrudin Mohd, 56 anni, condannato a morte dall’Alta Corte il 2 febbraio 2016 per traffico di diamorfina, è stato impiccato nel Complesso della Prigione di Changi. Nemmeno una settimana prima, il 9 marzo, era stato messo a morte un cittadino del Ghana, sempre per reati connessi al traffico di droga.
L’annuncio fatto lunedì scorso a
Manchester, New Hampshire, in uno degli Stati americani più colpiti da
questa piaga, in realtà non è una novità assoluta. Già il 26 febbraio,
Trump avrebbe espresso la volontà di estendere la pena capitale per i
spacciatori di droga, come rivelato da Axios. Volontà poi resa pubblica
l’11 marzo quando ha scaldato per la prima volta con questa proposta la
folla di un comizio elettorale evocando modelli come Cina e Singapore
che, sostiene il presidente americano, hanno meno problemi con la
tossicodipendenza per la durezza con cui puniscono gli spacciatori.
Durante e dopo la campagna presidenziale
del 2016, del resto, Trump aveva elogiato pubblicamente il presidente
filippino Rodrigo Duterte per la sua sanguinosa guerra al narcotraffico,
che nel corso degli ultimi anni ha causato migliaia di vittime, pur
godendo di un forte sostegno da parte dell’opinione pubblica di quel
paese. Anche le drastiche misure in vigore a Singapore contro il
traffico di droga sono oggetto di periodiche denunce da parte delle
organizzazioni per i diritti umani, secondo cui alle persone accusate di
essere trafficanti è negato un processo equo e trasparente. Ed Amnesty
International sostiene che gran parte dei condannati a morte per reati
di droga sono in realtà piccoli spacciatori costretti a mettersi al
servizio dei narcotrafficanti.
Secondo un rapporto dell’organizzazione
con sede a Londra, nonostante la riforma introdotte nel 2013, la pena di
morte per reati di droga resta una sanzione obbligatoria e il potere di
stabilire la vita o la morte di un condannato è lasciato nelle mani del
pubblico ministero: se l’imputato fornisce collaborazione alle
indagini, ottiene un ‘certificato’ che può evitargli l’impiccagione,
altrimenti il giudice sarà tenuto a comminare la pena capitale. Su 51
casi esaminati da Amnesty, in 34 l’imputato è stato condannato a morte
perché non aveva ottenuto lo speciale ‘certificato’.
Ma a Trump queste cifre e le
preoccupazioni delle organizzazioni interessano poco ed è più incline
alle rassicurazioni che gli arrivano dalle autorità della città-Stato.
“Quando ho chiesto al primo ministro se avessero un problema con la
droga, lui ha risposto: ‘No. Pena di morte'”, ha dichiarato.
Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi
Uniti, Indonesia, Iran, Kuwait, Laos, Malesia, Singapore, Sri Lanka,
Thailandia e Vietnam: sono alcuni dei paesi che infliggono la pena di
morte per reati connessi alla droga. Una ‘non rispettabile’ compagnia,
in tema di diritti umani, a cui gli Usa si ritroverebbero accostati.
“Non dobbiamo seguire l’esempio di altri paesi, come Singapore, in cui
le durissime norme anti-droga non solo non incidono sui danni provocati
dalla droga ma violano anche norme e standard del diritto
internazionale”, ammonisce Kristina Roth, direttrice del Programma
Giustizia penale di Amnesty International Usa.
E proprio da Singapore, qualche giorno fa, è arrivata la notizia della seconda esecuzione del 2018. Hishamrudin Mohd, 56 anni, condannato a morte dall’Alta Corte il 2 febbraio 2016 per traffico di diamorfina, è stato impiccato nel Complesso della Prigione di Changi. Nemmeno una settimana prima, il 9 marzo, era stato messo a morte un cittadino del Ghana, sempre per reati connessi al traffico di droga.
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