“Salvare la lingua”, da Nova Radio Roma a Radio Radio


Pubblicato su: Treccani.it

A me mi piace, un brutto anatroccolo o un bel cigno? Scrivevano così, ben 23 anni fa, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota. Era il 1995, e questo come altri tabù linguistici entrarono a far parte della preziosa collezione de Il Salvalingua, un utile e intelligente manuale che inaugurò una nuova stagione del mestiere del grammatico, mestiere «non molto diverso da quello del meteorologo: questo informa sulle condizioni del tempo, quello informa (o dovrebbe informare) sulle condizioni della lingua, senza imporre niente dall'alto». A certa "mitologia grammaticale" quella che censura chi usa lui come pronome soggetto o il gerundio per iniziare il discorso, i due autori e storici della lingua anteposero una cassetta di "Pronto soccorso" linguistico capace di aiutare il lettore nei casi di dubbi e incertezze. Un'idea apparentemente banale, ma geniale. L'attimino, il ma però e il come dire, l'assolutamente (assolutamente sì o assolutamente no?!) erano i tormentoni dell'epoca, mai in fondo completamente tramontati, semmai affiancati nel corso degli anni dai quant'altro, a 360 gradi e tante altre frasi fatte, luoghi comuni e modi di dire di cui si fa uso e abuso.

L’ascoltatore “comune” con Valeria e Giuseppe

Trasferire questa narrazione (ahimè, anch'io vittima di certe formule ad effetto) dalla carta a Nova Radio Roma, una radio romana del circuito delle edizioni Paoline, fu una piccola intuizione. «Una operazione pionieristica – racconta oggi Valeria Della Valle – perché all'epoca parlare di lingua non andava di moda. Con quell'idea si colse la necessità di fare divulgazione, usando un tono amichevole e mai supponente, abbandonando il registro professorale, senza incutere soggezione o generare vergogna per i propri errori». Siamo a fine anni Novanta e in sala studio si lavorava ancora con il Revox a bobine per tagliare il nastro e sistemare il parlato: il digitale era ancora un lusso per pochi. Ricorda Fabio Cruciani, oggi responsabile tecnico della sede romana di Radio InBlu, a quel tempo tecnico del suono a Nova Radio Roma: «Era una formula vincente, che univa il serio con il faceto, tu Massimo che giocavi a fare 'l'ascoltatore comune' prestandoti anche all'errore in cui ciascuno può cadere, e Valeria e Giuseppe che intervenivano correggendo e spiegando». Dare del lei, l'uso del congiuntivo, le parole riempitivo, gli anacoluti, se lo sapevo non venivo, le formule augurali ... il Salvalingua alla radio collezionò oltre una cinquantina di pillole linguistiche, ogni puntata di cinque minuti volta a risolvere il dubbio più insidioso e traditore, un modello che ha ispirato un certo modo di parlare di lingua e grammatica in radio e in televisione.

Che lingua fa? 14 anni di costume italiano

Dal 2004, il Salvalingua si è trasferito a Radio Radio, ospite di "Un giorno speciale" dello storico speaker della radiofonia romana Francesco Vergovich e in questi 14 anni ha collezionato più di 800 puntate conversando con oltre 300 tra docenti, giornalisti, scrittori, esperti, col proposito di raccontare "Che lingua fa" (abusando della felice espressione coniata da Della Valle e Patota): non solo quindi un prontuario radiofonico per evitare errori e trappole linguistiche ma anche, e soprattutto, un osservatorio per capire i mutamenti della lingua e dei linguaggi, le parole e le mode, esplorando innumerevoli ambiti, toccando fenomeni non solo linguistici ma anche sociali. Tornare a scorrere i titoli delle puntate di questi 14 anni per raccogliere idee e raccontare questa esperienza, è stato in fondo un viaggio anche nel costume italiano. Berluschista e berluschini, prodinotti e prodino sono solo un paio di "neologismi onorevoli" dedicati a due leader che hanno fatto la storia politica italiana degli ultimi tre lustri. In questi tempi di consultazioni, trattative e caminetti, ritornano di moda le tante puntate dedicate alla governeide e alle diverse declinazioni: governo dei pochi, governo di volta in volta, governo di programma, governo di responsabilità. Ma l'elenco sarebbe anche più lungo. E magari in attesa di accordi che ad oggi sembrano ancor lontani, ecco rispolverati i patti della pajata, della crostata, del rigatone, del branzino, della sardina, della spigola, perché in fondo la storia della politica italiana si è spesso "consumata" a tavola tra una portata e un bicchiere di vino. Esattamente 10 anni fa, di questi giorni, eravamo a cavallo di elezioni politiche contraddistinte da due parole: Veltrusconi, prima del voto, sintesi di un'attesa all'insegna delle larghe intese, e Walterloo appena dopo l'esito elettorale, crasi di Walter (Veltroni) e Waterloo, sarcasmo estremo per rappresentare l'ampia sconfitta del centro-sinistra e la netta affermazione di Berlusconi. Corsi e ricorsi storici.

Abbiamo alzato bandiera bianca?

«Rispetto a quando abbiamo iniziato, i problemi oggi sono più gravi», avverte Valeria Della Valle, vera “madrina” del Salvalingua radiofonico dall'alto delle sue oltre 60 presenze. «Come dimostrano diverse recenti analisi, molti italiani anche scolarizzati non capiscono il significato delle parole. Gli strumenti telematici hanno reso  tutto più veloce, anche la scrittura, ma hanno provocato contemporaneamente anche gravi perdite di competenza lessicale e di comprensione del testo». Forse anche da qui deriva un diverso atteggiamento veso sfondoni ed errori grammaticali. «Mentre anni fa – spiega Francesco Vergovich – ci si indignava o comunque si sottolineava una distanza dagli orrori linguistici, oggi si concilia con tutto e con tutti. Abbiamo alzato bandiera bianca». Se i tic linguistici e le parole d'appoggio, i cioè e gli attimino, erano fino ad alcuni anni fa al centro dell'attenzione, oggi sembrano aver lasciato il passo agli anglicismi e ai neologismi. «Inutili i primi, una esagerazione i secondi», secondo Della Valle. «Gli anglicismi quando non necessari sono una inutile esibizione, oltre ad essere spesso incomprensibili; i neologismi sono invece fenomeni di costume cavalcati dai giornali, come ha dimostrato il clamore suscitato da petaloso».

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