Dublinanti, immigrati secondari e casi di Dublino

"Non c'è alcun accordo con Berlino a proposito dei numeri dei cosiddetti 'dublinanti' o immigrati secondari". Ieri pomeriggio, le agenzie di stampa rilanciano da "fonti del Viminale" la posizione del governo italiano alla vigilia del Consiglio dei ministri UE dell'Interno. Tema ripreso stamane dai principali quotidiani.

Dublinanti. Su una materia così delicata come le migrazioni, l'uso di un termine può ovviamente determinare interpretazioni, umori, reazioni. E' solo un espediente linguistico a cui ricorrono le burocrazie e i mezzi di informazioni. E' un metodo spregiativo per etichettare esseri umani. Su web, i pareri come sempre discordano.

Non c'è dubbio però che "Dublinanti" sia un brutto neologismo italiano, derivazione dal "Dubliners" inglese. Il significato è spiegato sul sito della Protezione civile: "Seppure impropriamente, sono chiamati dublinanti i richiedenti protezione internazionale che vengono rinviati allo Stato in cui hanno chiesto la protezione internazionale, a seguito di una richiesta per ottenere analogo riconoscimento in uno Stato diverso da quello in cui è stato richiesto la prima volta".

Il termine origina dal Regolamento europeo che disciplina la materia noto come "Dublino III" che ha sostituito la Convenzione di Dublino, firmata nella città irlandese nel 1990, "sulla determinazione dello stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee".

Da più parti però si invita a non usare questo termine, preferendogli la locuzione 'casi Dublino'. È di questo avviso l'avvocato Alessandra Ballerini, esperta di immigrazione, secondo cui 'dublinante' non dovrebbe mai essere utilizzato.

Ma così non è, e da molto tempo ormai, come dimostra questo articolo del Corriere della Sera del 2015, "Il popolo dei Dublinanti". Mezzi di informazione ma anche siti istituzionali. "Il sistema Eurodac blocca i 'dublinanti'", si legge in una pagina web del Ministero dell'Interno di inizio 2018.

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