Schadenfreude, fenomenologia del rosicone moderno

"Per tradurre la parola tedesca Schadenfreude ne servono fino a undici italiane: la gioia che si prova di fronte al dolore degli altri". Ne scrive Giulia Crivelli sull'edizione domenicale del Sole 24 Ore parlando del libro di Tiffany Watt Smith che alla parola ha dedicato un libro usando sei parole inglesi per tradurla (The joy of another's misfortune, nella versione originale del suo saggio, pubblicato nel Regno Unito nel 2018) e altrettante italiane (La gioia per le disgrazie altrui, appena uscito per Utet).

Non è il solo caso di parole tedesche "composte intraducibili, di fatto, proprio perché non sono parole, bensì porte su mondi immaginati o reali". Ad esempio, c'è Mitlaufer che "è una persona che cammina quando l'altro cammina; Zweisamkeit è la condizione di solitudine che si prova (non sempre, si spera) persino se si è parte di una coppia". Di queste parole, "il tedesco ne ha tantissime ed è per questo che se per farsi capire con discreta efficacia in inglese bastano circa mille vocaboli, ne occorrono almeno cinque volte tanto in Germania".

Schadenfreude non ha equivalente in nessun altra lingua del mondo, ma "la sensazione di gioia, più o meno intensa, di fronte a una piccola o grande sfortuna altrui è comune all'intero genere umano. In Giappone ad esempio, altra lingua ricca di espressioni intraducibili, non si è voluto premiare questa sensazione dedicandole una parola, ma esiste un proverbio altrettanto efficace: «La sfortuna degli altri è come il dolce miele»".

Ma cos'è la Schadenfreude? "Per qualcuno può essere un'emozione autenticamente piacevole, gratificante; per altri è abbinata a immediato senso di colpa o inadeguatezza. Ad alcuni può sembrare una profezia che si avvera: se si è stati costretti ad ascoltare persone vanesie al limite della mitomania, spesso capaci di affascinare parte degli interlocutori, inevitabile pensare (o dire), quando questi dovesse cadere in disgrazia: ecco, visto, l'avevo detto io che era un bluff. Accade magari anche tra due avversari politici: se uno perde consensi dopo averli guadagnati sostenendo una buona causa, che al secondo era mancato il coraggio di abbracciare, in caso di fallimento, il pavido proverà soddisfazione e magari gli scapperà pure un «avevo ragione io, era una causa persa». Quando in realtà tutto nasce da invidia per qualità che si sa di non possedere. Non a caso Nietzsche parlava di «vendetta dell'impotente» per spiegare il significato di Schadenfruede, mentre per Schopenhauer era «l'indizio più infallibile di un cuore profondamente cattivo».".

Uno stato d'animo, una condizione che oggi più che mai emerge con persino violenza. "Abbiamo inventato neologismi come online haters, leoni da tastiera, webeti. Ma volendo capire cosa scateni tanto odio e aggressività sul web forse basterebbe la parola Schadenfreude. Aggiungendo 4.0: nella stragrande maggioranza dei casi internet e i social network permettono di dare libero sfogo a quel misto di frustrazione-delusione-invidia-cattiveria-complesso di inferiorità che fa gioire per le difficoltà altrui".

"L'antidoto? L'ironia e l'autoironia, per non diventare haters e per difendersi dagli haters. La Schadenfreude divide, tira fuori il peggio di noi. Sorridere o far sorridere riconcilia, unisce in una liberatoria risata. Aveva ragione Orwell, sempre citato da Tiffany Watt Smith, quando diceva «ogni battuta è una piccola rivoluzione»".

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