Le parole giuste per il clima folle

Le parole giuste per il clima folle, Stefano Mancuso
la Repubblica il 24 novembre 2019


Alla fine di ottobre del 2018, la tempesta Vaia colpiva con violenza inaspettata il Nord Est italiano procurando l'abbattimento di intere foreste e la morte di un numero imprecisato di alberi. In cerca di una stima, quanto più possibile realistica, del numero di alberi schiantati, chiamai in quei giorni chiunque conoscessi nelle zone colpite dal disastro per avere informazioni più dettagliate. Alla domanda «ma quanti alberi sono caduti?», la risposta era immutabilmente «molti milioni di metri cubi di legname». 

L'unica variabile ammessa era il numero di metri cubi: da sette a nove. Nessuno che parlasse del numero di alberi caduti; solo metri cubi di legname. Ora, le parole che adoperiamo raccontano molto di cosa siamo; parlare di metri cubi di legname o di bestiame o di pescato, ad esempio, illustra con chiarezza il nostro rapporto predatorio con gli altri esseri viventi del Pianeta. Una percezione della natura come materia prima che, a prescindere da qualunque considerazione etica, è una delle cause fondamentali della drammatica emergenza ambientale che stiamo vivendo.

La scelta di un vocabolo o di un altro, se da un lato svela cosa siamo, dall'altro ha la possibilità di modificare la nostra comprensione della realtà. Prendiamo il caso del "cambiamento climatico". Il primo ad aver utilizzato questa espressione sembra essere stato Wallace Broecker, ricercatore presso la Columbia University, in un articolo pubblicato su Science 1'8 agosto del 1975. Da quel momento "cambiamento climatico" e "riscaldamento globale" hanno iniziato a essere utilizzati come sinonimi, nonostante le due locuzioni definiscano fenomeni molto diversi: "riscaldamento globale" riguarda, infatti, l'aumento della temperatura media della superficie terrestre dovuta all'aumento delle concentrazioni di gas serra, mentre "cambiamento climatico" interessa la modifica a lungo termine del clima della Terra. Quello che accade al nostro pianeta è, senza alcun dubbio, un "riscaldamento globale", eppure si continua a parlare di "cambiamento climatico". Perché? La risposta è semplice e la racconta qualche mese fa sul Washington Post, Frank Luntz, un consulente dei repubblicani americani: «Nel 2001 scrissi un promemoria per i politici repubblicani consigliando loro di cancellare dal loro vocabolario il "riscaldamento globale", perché aveva connotazioni catastrofiche, e utilizzare al suo posto "cambiamento climatico" che suggeriva, al contrario, una sfida più controllabile e meno emotiva». 


Utilizzare le espressioni giuste fa una differenza enorme. È per questo che recentemente il Guardian ha stilato un breve glossario dei termini e delle espressioni che devono essere utilizzate dai suoi giornalisti quando scrivono sull'ambiente. Leggerlo è istruttivo. Fra le raccomandazioni troviamo che "crisi climatica" o "emergenza climatica" devono essere preferiti a "cambiamento climatico" e che coloro che negano lo stato delle cose non devono essere descritti come "scettici" ma come "negazionisti". Sono molti i giornali nel mondo che tentano una revisione linguistica sui temi dell'ambiente e credo facciano bene.

Sia chiaro, non sono soltanto alcuni politici o alcuni giornalisti a confondere le acque, anche gli scienziati, con il loro esagerato timore di esprimere con semplicità cosa sta realmente accadendo, nonostante le miriadi di prove irrefutabili a sostegno, contribuiscono alla confusione. Un esempio classico è un brano del recente report sul riscaldamento globale del gruppo intergovemativo sul cambiamento climatico (Ipcc): «Limitare il riscaldamento globale a 1,5°C richiederebbe cambiamenti rapidi, di vasta portata e senza precedenti in tutti gli aspetti della società». «Rapidi, di vasta portata e senza precedenti in tutti gli aspetti della società», non stiamo forse parlando di cambiare tutto e subito? E allora perché non scrivere chiaramente come faceva Margaret Atwood, in un suo saggio del 2015, che ciò che sta accadendo al nostro pianeta più che un «cambiamento climatico» è un «cambiamento di tutto»?


Stefano Mancuso, scienziato, è direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale (Linv). Ha scritto "La nazione delle piante " (Laterza, 2019)

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