Il pianeta si salva con parole nuove

Un'antologia curata dagli studiosi dell'Università del Minnesota raccoglie i neologismi che ci aiutano a capire la crisi ambientale.


(fonte: la Repubblica)  

Parole come apocalypso, cibopathic, fotminne, blockadia, gyebale, suonano strane? Certo, perché non esistono; ma potrebbero tornare utili. Conosciamo un'infinità di espressioni per descrivere la crisi ambientale; a scarseggiare sono i vocaboli per immaginare come superare l'emergenza, per raffigurare che cosa significhi abitare un futuro migliore o la strada per arrivarci.

Quali concetti potrebbero suscitare un effetto psicologico opposto a "scioglimento dei ghiacci", "estinzione", "innalzamento dei mari"; come possiamo focalizzare meglio, attraverso un vocabolario non più ispirato al capitalismo neoliberista, la via di fuga dall'Antropocene? Un altro mondo è possibile resta uno slogan se non è accompagnato da indicazioni che rendano questa meta, avvolta ora nella nebbia, un luogo desiderabile.
 

Le parole necessarie sono in un libro che è un'utopia sotto forma di dizionario: An Ecotopian Lexicon (University of Minnesota Press). Curata dal sociologo di Yale Matthew Schneider-Mayerson e dall'esperto di letteratura fantascientifica Brent Ryan Bellamy della Trent University dell'Ontano, è un'antologia che elenca origine e usi possibili di trenta neologismi scelti da altrettanti esperti in discipline diverse, e presi in prestito da culture e sottoculture eterogenee, da fantascienza e poesia. Convinti del potere del linguaggio d'influenzare percezione e pensiero (anche il termine ecologia è stato coniato nel 1873 da Ernst Haeckel), gli autori offrono strumenti concettuali per le sfide politico-sociali del presente.

Randall Amster, direttore del programma Pace e Giustizia dell'Università di Georgetown, propone blockadia. «Il vocabolo descrive scenari in cui la gente è chiamata ad azioni estreme. Deluse dalle azioni del governo, le persone possono adottare meccanismi di azione collettiva e resistenza civile, usando anche il proprio corpo per comunicare il messaggio». Blockadia è stato usato una prima volta nel 2013 per raccontare la protesta contro la costruzione dell'oleodotto Keystone, tra Canada e Stati Uniti. Un articolo di Melanie Jae Martin e Jesse Fruhwirth intitolato Welcome to Blockadia - "Benvenuti a Bloccandia" - introdusse il termine, ripreso da Naomi Klein in Una rivoluzione ci salverà. Descrisse blockadia come uno spazio transnazionale che si manifesta, per esempio, per opporsi a progetti legati ai combustibili fossili, tipo la pipeline di Standing Rock nel Nord Dakota. Blockadia è l'interstizio tra il mondo com'è e dovrebbe essere.

Gli autori delle singole voci ne identificano il potenziale ecologico ed ecopsicologico. Il termine apocalypso, scelto da Sam Solnick, ricercatore all'Università di Liverpool, è il titolo di una poesia di Evelyn Reilly. Nel testo contamina la parola apocalisse con Calypso, non nella propria accezione musicale, quanto per il senso di resisten za e opposizione alle autorità, tipico della cultura creola di Trinidad. Il termine è adoperato per tratteggiare un futuro apocalittico stemperato nel proprio lato apocalypsico. La paura spinge gli individui a prepararsi alla catastrofe rinchiudendosi in sé, perdendo contatto con l'umanità. Apocalypso promuove invece solidarietà e vicinanza.

Immaginare un futuro diverso inizia a tavola, suggerisce cibopathic, neologismo che Daniel Worden (studioso di scienze politiche al Rochester Insititute of Technology) ha estrapolato dal fumetto Chew di John Layman e Rob Guillory. Un cibopatico è in grado di mordere una mela e comprendere da quale albero provenga, quali pesticidi siano stati adoperati e a quando risalga il raccolto. Se fossimo in grado di assaporare la storia del cibo e se, assaggiare un frutto, innescasse l'epifania sensoriale della sua produzione, potremmo capire al volo le differenze tra sfruttamento e sostenibilità.

La svedese Sofia Ahlberg dell'Università di Uppsala introduce fotminne, una sorta di stretta di piede con il terreno, un segnale di accordo. Il lemma, derivato dal greco, se da un lato ammonisce che terreni e sentieri sono vulnerabili e conservano i segni del nostro passaggio, dall'altro, proprio nel momento in cui è facile lasciare tracce in modo virtuale, con la "memoria del piede" testimonia la nostra connessione materiale. L'impronta di carbonio misura le conseguenze negative del nostro passaggio, in fotminne c'è speranza.

Il lessico contiene proposte poetiche, esoteriche, esotiche. Quando due adulti s'incontrano nel sud dell'Uganda, si salutano dicendo: gyebale. Significa: grazie per il lavoro che fai. È esprimere riconoscenza a chi s'incontra, per il contributo quotidiano a rendere migliore la vita comune, qualunque sia il suo lavoro. Il dizionario accoglie ildsjel, vocabolo norvegese che indica chi eserciti un ruolo positivo attraverso un'azione volontaria. Un udsjelerè il più attivo nelle scuole, comunità o nelle arti: chiunque agisca più di quanto richiesto.

Una cultura prodiga di termini ecotopici è quella Inuit. La parola stila indica la somma di parti interconnesse: atmosfera, cielo, intelligenza, natura, cosmo, tempo... La canadese Janet Tamalik, esperta di cultura Inuit, ha adattato sua alla nostra cultura. Per riconoscere che siamo inseriti in un sistema di forze ed entità senze esserne al centro, si dica: «Non siamo mai più di sila». Di fronte alla meraviglia della natura, potremmo convogliare la gioia dei sensi nell'esclamazione sila! Se ai bambini, invece di domandare che tempo fa?, chiedessimo che cosa sta facendo sila? sarebbe un invito a usare i sensi per percepire la forza dei venti, movimenti di nuvole, presenze animali, cambiamenti nel ciclo delle piante, posizioni planetarie, ricordando, in una sola parola, il legame con una realtà più grande di noi.
Michele Neri

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