"Qualsiasi giornale nello scrivere e utilizzare le parole fa una sua rappresentazione del mondo, più o meno drammatica, più o meno emotiva. E' chiaro che questo non può non orientare la percezione dei lettori. E quindi, la responsabilità dei giornali è enorme", così Stefania Spina, docente di linguistica all'Università per stranieri di Perugia, autrice di una ricerca dedicata al coronavirus nel discorso della stampa italiana.
Spina ha analiazzato oltre 6mila articoli sul coronavirus pubblicati dal 21 febbraio - giorno della scoperta del primo caso in Italia - al 20 marzo, da sei quotidiani (la Repubblica, Libero, Huffington Post, il Giornale, Il Foglio e La Stampa) nelle loro edizioni online. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul sito della Treccani.
E' una ricerca, ci spiega Spina, che "nasce come lettrice quotidiana di giornali da una sensazione di fastidio e di irritazione nel constatare i modi a volte poco responsabili e inappropriati usati da alcuni quotidiani per raccontare il coronavirus". Grazie a questa ricerca e a uno "studio su vasta scala" è stato possibile constatare "la sistematicità, ad esempio, di come certe parole piuttosto che altre sono state scelte da questo o da quel giornale per parlare di questa malattia".
Con Stefania Spina sono state approfonditi le parole che l'epidemia ha ricondotto in termini linguistici ai loro significati originari come, emergenza che spesso in passato è stata usata inappropriatamente per descrivere fenomeni d'ogni specie. E poi, i termini che tendono a drammatizzare la realtà (da paura a panico e psicosi) e le metafore di altre catastrofi (come, terremoto).
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