La parola «negra» non è un'offesa?

Il Tribunale di Macerata assolve il vicesindaco di Civitanova, Fausto Troiano, dall'accusa di avere usato la parola «negra» nei confronti della ex deputata Cécile Kyenge. Secondo la difesa la definizione negra non sarebbe una offesa bensì una semplice constatazione. Ma le parole sono pietre, come diceva Carlo Levi. Altrimenti non si spiegherebbe come mai in tutto il mondo al posto di negro oggi si usi la parola «di colore». Per la semplice ragione che la parola negro per secoli si è accompagnata a una idea di inferiorità sociale, accompagnata da disprezzo e disistima. «Sporco negro» infatti è l'offesa più comune.

Le parole hanno una storia, un corpo, una vita politica e culturale di cui non si può non tenere conto. Non a caso si è deciso, con l'avvento della democrazia, di sostituire, tanto per fare un esempio, la parola «serva» con collaboratrice domestica. Certamente il cambio non elimina la servitù, ma fa capire che il rapporto padrone-servo, come era inteso in tempi di feudalesimo, è ormai socialmente inammissibile oltre che vetusto e inattuale. Il pensiero che si nasconde dietro una parola è sempre significativo e comprende l'uso che se ne è fatto nella storia. Anche la parola puttana per esempio, si potrebbe dire che rappresenti una professione, ma guarda caso viene usata ogni volta che si vuole insultare una donna. Per cui una prostituta preferisce chiamarsi «escort» o «lavoratrice del sesso», per sfuggire alla pesantezza moralistica della parola puttana.

Per quanto riguarda Cécile Kyenge quanti si sono rivoltati quando Roberto Calderoli l'ha paragonata pubblicamente a un orango? E quanti si sono indignati quando il consigliere circoscrizionale di Trento, Paolo Serafini, ha scritto su Facebook «che Cécile Kyenge se ne torni nella giungla dalla quale è uscita»?

Che ci siano dei razzisti ostinati lo sappiamo, ma che tanti italiani non prendano le distanze da questi tristi individui, è grave. A parte il fatto che non si capisce perché si debba definire una persona dal suo aspetto fisico. E come chiamare pubblicamente un deputato lo zoppo, il sordo, il gobbo, eccetera. Lo può fare un ignorante al bar, ma non un rappresentante pubblico. Si definisce una persona per il mestiere che fa, per le cose che dice e da come agisce, soprattutto se si tratta di un politico. Chiedo scusa a nome dei tanti itaiiani che sono contro ogni discriminazione, un saluto solidale a Cécile Kyenge.



(articolo di Dacia Maraini
pubblicato sul Corriere della Sera)

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