Con le parole dobbiamo sempre farci i conti. A ricordarcelo, se mai ce ne fosse bisogno, c'è anche l'etimologia. Il latino computare infatti, composto a sua volta dal prefisso con e dal verbo putare «stimare», ha assunto molto presto nelle lingue neolatine un ulteriore significato: quello di «riferire qualcosa a parole».
Già nell'antica Grecia, d'altronde, con lógos si indicava sia il discorso sia il calcolo. Proprio da quel computare latino viene l'italiano contare, che fin dal Medioevo ha il significato di «numerare progressivamente» o «calcolare», ma anche quello di «dire, raccontare». Già: raccontare.
Il verbo raccontare, che pure circola fin dal Medioevo, non è altro che il contare rafforzato da un prefisso: nell'italiano antico era frequente, con questo stesso significato, anche la forma ricontare. Contando e ricontando, insomma, si è passati a raccontare. Ma quell'antico contare rimane vivo in molti dialetti: vi ricordate il «dai dai: conta su!» cantato dal coro nella milanese Ho visto un re di Dario Fo ed Enzo Jannacci? Tanto pe' contà, potremmo commentare parafrasando una canzone romanesca... E quello stesso contare rimane vivo anche in alcune parole italiane in uso ancora oggi: da contastorie a contafavole fino a contaballe. Volendo citare ancora Jannacci e il suo libro L'incompiuter (scritto nel 1976 insieme a Beppe Viola), potremmo ricordare che da computare viene anche la parola inglese computer. E da quello stesso verbo, che già in latino aveva — tra gli altri — il senso di «leggere scandendo, calcolando le sillabe», viene anche l'italiano compitare. Proprio l'esercizio che fanno i bambini quando imparano a leggere e pronunciano le parole lettera per lettera e poi sillaba per sillaba. Leggere, scrivere e far di conto: la differenza cosa conta?
(Articolo di Giuseppe Antonelli pubblicato su Corriere della Sera)
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