Assolto Vittorio Feltri, aveva usato il termine “terroni”, non è diffamazione. Sicuri?

“Si è sempre meridionali di qualcuno”, sentenziava Luciano De Crescenzo nel celebre “Così parlò Bellavista”. In sostanza, c’è sempre un terrone più terrone di ognuno di noi, guardando verso il basso. Ma perché questo termine divide ancora così profondamente? Possiamo realmente considerarlo un insulto? E, visto dal Nord, consideriamo polentone analogamente un termine spregiativo?

Un giudice di Cava dei Tirreni ha recentemente assolto Vittorio Feltri che in un articolo aveva usato il termine “terroni”. Il giornalista era stato accusato da un cittadino campano di odio razziale e di diffamazione. Il direttore di Libero, Pietro Senaldi, spiega in un editoriale come “il verdetto stabilisce che la razza terrona, come la razza polentona, non esistono. Perché gli italiani costituiscono un unico aggregato sociale e giuridico” e “parlare di terroni in genere non è diffamazione, perché il reato richiede destinatari chiaramente individuabili”.

La sentenza del giudice Mazzarella inoltre confina la discettazione di Feltri nell’ambito del “diritto di critica, espressione della libertà di pensiero” che, come insegna la Cassazione, “non può essere rigorosamente obiettiva e asettica”. 

Che Feltri e Libero ci abbiano abituati negli anni a un pensiero non troppo asettico, può sembrare un eufemismo. Nel gennaio 2019, il quotidiano di Senaldi apriva la prima pagina col titolo “Comandano i terroni”. Il motivo per il fatto che tre delle quattro più alte cariche istituzionali del Paese fossero rivestite da cittadini meridionali (il capo dello Stato Mattarella, il presidente del Consiglio Conte, il presidente della Camera Fico).

Polemiche a non finire. Un titolo che “non può essere considerato una provocazione e neanche un divertissement. E’ semplicemente inaccettabile”, puntualizzò la Federazione nazionale della Stampa italiana che non risparmiò critiche neppure all’allora vicepresidente Luigi Di Maio. Di Maio in un post aveva minacciato il taglio del fondo per l’editoria a cui anche Libero attinge: “altrettanto inaccettabile”. 

Vittorio Feltri cercò in quei giorni di spiegare che “quando uso il termine terrone non intendo offendere nessuno. La parola può essere interpretata in senso dispregiativo o scherzoso, dipende da chi la dice“. E quando lo chiamano ‘polentone’ non la considera una offesa pur considerando il termine più grave. Perché “quelli che mangiavano la polenta non ingerivano il sale e si ammalavano di pellagra. Quindi noi polentoni siamo sospettati di essere un po’ deficienti, il che probabilmente è anche vero”.
 
Una cosa è certa: la storia del nostro Paese è da sempre connotata dalla contrapposizione tra nord e sud che trova in alcune stereotipi la loro espressione meno felice. Polentoni e terroni, che al Nord suona terùn, ne sono l’esempio perfetto. Vale anche ai nostri giorni? Per l’Accademia della Crusca, le cose stanno un po’ cambiando.
 
L’origine della parola terrone pare sia molto antica. È certamente un derivato di terra che, indicando un ‘cumulo di terra derivante dall’aratura’, venne probabilmente usato in seguito come nome per i contadini, fino a divenire un cognome.
 
Il cognome risulta ancora oggi diffuso con due varianti: Terroni, soprattutto nel nord Italia e in particolare in provincia di Parma. Terrone, per lo più in Puglia e Campania. Ma anche in Francia, ad esempio, è possibile trovare Terrón con varianti come Therond, Teron e Terrony.
 
Il passaggio del vocabolo a identificare persone del sud Italia, spiega La Crusca, può essere avvenuto o perché veniva usato con il valore di contadino, ma senza una connotazione marcatamente negativa, e dunque utilizzato per rivolgersi agli emigrati dal Sud in quanto lavoratori agricoli. O perché la parola terrone fosse già in uso nelle regioni del nord Italia con connotazione negativa e dunque l’appellativo sarebbe nato come insulto rivolto a chi assumeva un comportamento rozzo riconosciuto tipico dei contadini.  

Eppure, oggi la parola terrone sembrerebbe stia avendo una ‘rivalutazione’ grazie anche ai social media. Molti studenti meridionali che vivono al nord usano infatti le reti digitali per ironizzare, spiega La Crusca, “sugli stereotipi che negli anni passati hanno nutrito diffidenza e razzismo così da favorire un reale uso scherzoso della parole terrone e dei suoi derivati”.
 
Qualche esempio? Il blogger “Unterroneamilano” che lo scorso anno ha organizzato un pullman da 87 posti per consentire ai fuorisede di riabbracciare a Natale i propri cari senza dover spendere troppo. O ancora Carlotta Ferlito, ginnasta catanese, oro nel corpo libero alle Universiadi di Napoli, che dalla pagina «Il terrone fuori sede» ha dichiarato: “Sono terrona dentro”.
 
Piccoli gesti che stanno trasformando quel ‘terrone’ in un vero motivo di orgoglio e di appartenenza.

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