Parole da buttare: “l’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”

Così cantava Lucio Dalla, e se il 2020 lo abbiamo volentieri archiviato, per l’appena nato 2021 molte cose restano ancora nebulose. Dal punto di vista delle parole, ci siamo lasciati dietro lockdown, pandemia, coronavirus, COVID, mascherina: regine del 2020. E chissà ancora per quanto ce le porteremo dietro.

Se poco possiamo fare per parole legate all’emergenza sanitaria che stiamo ancora vivendo, diverso è il caso di termini ed espressioni diventati tormentoni linguistici, luoghi comuni, modi di dire, parole abusate. Una volta i linguisti si affannavano dietro i ‘quant’altro’, gli ‘assolutamente’ o gli ‘anche no’. L’elenco nel corso degli anni si è notevolmente arricchito trovando terreno fertile soprattutto nei social media, vero incubatore e rapido diffusore della degenerazione linguistica.

Un catalogo che in molti vorrebbero sfoltire. Su Repubblica, Concita De Gregorio si indigna per l’imperversare nei talk show del ‘c’è molto da fare’, ‘C’è da fare…’. “Ma che diavolo vuoi dire? – scrive – Un vago, impersonale c’è da fare che ha il sapore di “beh, io quello che dovevo dire l’ho detto, ora scusate ma ho il parrucchiere”. 

Riccardo Chiaberge, collaboratore di Treccani e Linkesta, ha provocatoriamente proposto con un tweet le sue parole da buttare. “E se nel 2001 – ha scritto – la smettessimo di dire ‘ci sta’, ‘ci metto la faccia’, ‘senza se e senza ma’ e ‘due domande me le farei’?”.

Il suo invito è stato subito raccolto. Antonio Polito (giornalista) ha proposto ‘asfaltare’; Roberto Burioni (virologo) ‘tanta roba’, ‘facciamo un passo indietro’ e ‘resilienza’; Pierluigi Battista (giornalista) ‘anche no’ e ‘scappati di casa’; Federico Fubini (giornalista) ‘piuttosto che’ e ‘anche meno’. Tanto per citare alcuni contributi illustri. Ma negli oltre 1300 commenti collezionati in un giorno, ce n’è per tutti i gusti: ‘quoto in pieno’, ‘chiedo per un amico’, ‘narrazione’, ‘attenzionare’, ‘asfaltato’, ‘interlocuzione’, ‘potenza di fuoco’. Via il ‘virale’, ora quantomai inopportuno. Via gli anglismi come ‘cashback’, ‘recovery plan’.

Fotografia della sciatteria linguistica o frenesia un po’ snob degli intolleranti da tastiera? La verità sta forse nel mezzo. Ma una cosa è certa: tutti, ma veramente tutti, vorremmo che le prime parole da buttare fossero proprio quelle che hanno imperversato nell’anno vecchio: lockdown, pandemia, coronavirus, COVID, mascherina. 

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