Non solo dad come e perché l'acronimo fece scuola

C'è stato un tempo in cui, quando sì pensava a un progetto per bambini, lo si chiamava dolcemente Orme: era l'Orientamento per la scuola Materna ed Elementare. Sofia, invece, nacque per indicare il Sistema Operativo per la Formazione e le Iniziative di Aggiornamento dei docenti; e che dire di Ida, l'Istruzione per gli adulti: non evoca luoghi antichi e verdeggianti? Ma il tempo della poesia e della semplicità è finito; oggi la comunicazione nel mondo della scuola è un mostro che sputa sigle incomprensibili, con lettere e numeri che si susseguono a casaccio producendo parole impronunciabili cui corrisponde una montagna di piccoli e grandi obblighi burocratici; una terra selvaggia dove le famiglie si smarriscono, mentre gli addetti ai lavori - insegnanti e presidi, prima di tutti - non potendo dichiarare la resa, soffocano sotto cataste di carta.

Teresa Iavarone, docente in un istituto alberghiero di Roma, è convinta che il fenomeno sia in peggioramento - percezione che condivide con tutti gli altri insegnanti interpellati dal Venerdì. «È come essere stati colpiti in pieno da un'onda anomala di burocrazia. La Dad (DidatticaADistanza) ci ha messo del suo, ma il giro di vite è iniziato prima». Esempio. Come insegnante di sostegno, Iavarone ha spesso a che fare con il Pei, Piano Educativo Individualizzato (destinato ai ragazzi con disabilità certificata), ma anche con il Pdp, Piano Didattico Personalizzato,che si redige in caso di Dsa (Disturbo Specifico dell'Apprendimento), o di Bes (Bisogni Educativi Speciali), un cappello sotto il quale c'è di tutto, dal disagio psicologico alla plusdotazione. Ma sappiate che gli istituti professionali prevedono anche il Pfi, Profilo Formativo Individualizzato: segue il ragazzo dalla prima alla quinta, riportandone la storia formativa, le esperienze ecc. Risultato: «Ci sono studenti per il quale si prepara il Pei, il Pdp e anche il Pfi, tutti da aggiornare incessantemente e da condividere con la famiglia. Neanche i medici hanno una lente di cosi elevata gradazione per le loro osservazioni». Tra gli insegnanti c'è chi sospetta un piano nefasto: sono costretti a scrivere scrivere scrivere, tutto, purché trascurino le lezioni. Un docente di un liceo scientifico di Bologna si autodenuncia: «Certi documenti non li compilo più, sì, sono inadempiente. Vedo Pia, e traduco alla romana: pijatela in...».

Ammaliato dalla «maledizione degli acronimi nella scuola» (definizione dello storico Alessandro Barbero in un'intervista su questo giornale), da qualche anno il preside di Brindisi Canneto Nesta, ora in pensione, tiene un elenco aggiornato che ha ormai superato le 500 voci (le trovate sul sito brindisino dello Snals, Sindacato Nazionale Autonomo Lavoratori della Scuola, e sul giornale online Orizzonte Scuola, per gli amici OS). Nesta racconta di aver cominciato nel 2015, colpito dal fatto che alcuni acronimi fossero ormai usati (o branditi), come vocaboli a sé stanti. «Talvolta sono comodi. A scuola si parla di "prove Invalsi" e ci si capisce al volo. Chi sa più che significa Istituto Nazionale perla Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione? E il personale Amministrativo Tecnico e Ausiliario: per tutti sono semplicemente "gli Ata"». Rallegriamoci: in quest'ultimo caso, l'omissione della P di "personale" ha evitato che bidelli e tecnici fossero chiamati Pata. Alcune voci della Lista Nesta sono state abbandonate perché ciò a cui si riferivano non esiste più o si è evoluto sotto altre forme. Ma ne nascono di nuove in continuazione, in una corsa che talora produce sovrapposizioni spassose. Il presidente dell'Accademia della Crusca Claudio Marazzini cita l'esempio di Asl, Alternanza Scuola Lavoro: «A un certo punto devono essersi accorti dell'equivoco con la sanità e in sostituzione è arrivato il Pcto, Percorso Competenze Trasversali per l'Orientamento». Conferma che il fenomeno «è incredibile e in peggioramento, ormai dilaga anche nelle università». Ma perché? Come è accaduto? «A spingerci in questa selva oscura è una tendenza di gusto anglosassone tipica della finanza, e anche delle burocrazìe europee. L'acronimo fa tecnico, fa addetto ai lavori, fa competente. Magari scopri l'acqua calda, ma ci metti una sigla e sembra che acquisti dignità». Eppure dai tempi del codice per la pubblica amministrazione voluto da Sabino Cassese (1997), «tutti gli esperti hanno denunciato il rischio della scarsa trasparenza dovuta alla difficoltà di lettura dei documenti». Tocca ripetere suggerimenti: «Sorvegliarsi, limitare il numero delle sigle, evitare modifiche continue, e usare il nome per esteso almeno una volta».

Rosa Musto, che tra il 2000 e il 2008 si è occupata di comunicazione al ministero dell'Istruzione, racconta: «In questi ultimi anni il livello culturale del Paese si è abbassato. Nel mio ufficio eravamo rigorosi, creativi, e avevamo senso estetico. Le sigle dovevano avere un suono piacevole e consevare una corrispondenza con ciòche rappresentavano». Oltre al citato Orme, ecco per esempio Progetto 92 con cui si avviò la sperimentazione per la riforma dell'istruzione professionale (i fondi arrivarono nel 1992,di qui la denominazione) e il Pisa, Progetto Integrato di Supporto all'Autonomia, che nel 1997 aveva uno snodo fondamentale nel provveditorato di Pisa (oggi per la precisione, è il Programme for International Student Assessment). E il Miur? Interpellato su quale sia la ragione di tanto accanimento, risponde suggerendo la lettura del suo Glossario online, che va da Abilitazione a Vision, ovvero "tensione verso un obiettivo che si pone come ideale...". Insomma, AF, Aria Fritta. 


(articolo di Claudia Arletti pubblicato sul Venerdì di Repubblica)


di Claudia Arletti

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