Anche nelle emergenze la Commissione UE scrive solo in inglese


Articolo di Paolo Di Stefano, pubblicato sul Corriere della Sera

E' uscito lunedì sul sito dell'Unione Europea un comunicato ufficiale in cui si illustrano i prowedimenti della Commissione riguardo al coronavirus. Si tratta di circa 2.000 parole con le quali, in forma di domande e risposte, si dà conto delle strategie e delle iniziative scientifiche, organizzative e finanziarie messe in atto nelle ultime settimane. Tutto molto interessante. Senonché, la Commissione redige il documento in inglese e solo in inglese e non si preoccupa neppure di attivare i suoi servizi linguistici (tra più potenti del mondo) per proporlo in traduzione. 


Ora, è vero che le lingue ufficiali dell'Unione sono 24, ma il paradosso è che, dopo la Brexit, secondo i dati pubblicati dalla stessa Commissione europea, solo il 2 per cento della popolazione UE è di madrelingua inglese e il 90 per cento non la conosce del tutto o la parla a livelli base o intermedi, come segnala Michele Gazzola, studioso di economìa delle lingue. Il quale ha giustamente investito della questione l'Accademia della Crusca. 

Dunque, un italiano medio che si ricordi di essere europeo e ambisca legittimamente a sapere come la Comunità politica a cui appartiene ha reagito di fronte all'epidemia o quali decisione Bruxelles intende assumere sulla mobilità intema, si trova a dover decifrare in proprio il resoconto ufficiale. Va detto che dopo 48 ore sono apparse sul sito traduzioni in maltese e in spagnolo, facendo balenare la speranza che prima o poi si palesino anche versioni in francese, tedesco e magari in italiano. E considerando che l'Italia è sciaguratamente il Paese più colpito dal virus, il ritardo appare anco più assurdo. 

Prima l'inglese sempre e comunque? Il dubbio che affiora anche da questo sintomo linguistico è quello eterno: che gli organismi europei restino, nelle situazioni più urgenti, prigionieri di una mentalità burocratica del tutto lontana dai bisogni anche minimi dei cittadini.

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