Uomini che uccidono le donne: 10 vittime nei primi 53 giorni del 2021


Gli ultimi casi sono di poche ore fa. Deborah Saltori, 42 anni, uccisa dall’ex marito a colpi di accetta a Cortesano, un piccolo comune in provincia di Trento. Rossella Placani, 50 anni, uccisa con un colpo di un oggetto contundente alla testa nella sua casa di Bondeno, in provincia di Ferrara, indagato il compagno. 

Un bollettino di guerra: 10 vittime nei primi 53 giorni dell’anno, 73 nel 2020. Atti brutali, sconsiderati. “Se una società genera forme mostruose di sopraffazione e violenza, bisogna inventare un termine che esprima quella violenza e quella sopraffazione”, scrive l’accademico della Crusca Rosario Coluccia, nel suo ultimo libro “Conosciamo l’italiano? Usi, abusi e dubbi della lingua”.

Quella parola è femminicidio, entrata purtroppo nell’uso comune per quanto ormai è comune questo genere di crimine. Per molto tempo ci si è chiesti se fosse giusto o opportuno che si usasse un termine così specifico per un reato che è già definito dalla parola ‘omicidio’. Ma omicidio è parola troppo blanda e generica per identificare un esercizio di violenza e sopraffazione compiuto da chi considera la donna come una ‘femmina’ nel senso più spregiativo del termine, “non un essere umano di pari dignità e di pari diritti – spiega ancora Coluccia nel suo libro – ma un oggetto di cui si è proprietari”.  

Se per definire questa violenza fisica si è dovuti ricorrere a un neologismo, c’è una violenza verbale che si consuma ogni giorno nelle forme più disparate e inaccettabili. Anche ad opera di soggetti inaspettati.

Nei giorni scorsi, l’intera comunità si è indignata per gli insulti, le minacce, gli irripetibili commenti che sui social media hanno accompagnato la pubblicazione della foto di Liliana Segre mentre riceveva il vaccino contro il COVID-19. La polizia postale ha aperto una inchiesta e uno dei protagonisti di tali commenti ha chiesto scusa. Troppo facile e troppo tardi. 

Non meno grave, le incredibili offese rivolte a Giorgia Meloni. “Rana dalla bocca larga”, “scrofa”, “vacca”, “ortolana”, “pesciaiola”. Un insulso armamentario di epiteti usati durante una trasmissione radiofonica dal docente ordinario di Storia contemporanea dell’Università di Siena, Giovanni Gozzini. Pensando che questo potesse essere il giusto linguaggio per criticare la decisione della leader di Fratelli d’Italia di non sostenere il governo Draghi.  

Meno eclatante, ma più sottile il contestato titolo del quotidiano La Repubblica di qualche giorno fa: “Dalla Colombia dei narcos a Marte, la scienziata che muove la sonda”. Il riferimento è a Diana Trujillo, la scienziata che è parte del team che ha fatto atterrare Perseverance su Marte.

Se il femminicidio è l’iceberg di un fenomeno di violenza e sopraffazione, c’è un retroterra culturale e sociale che si consuma quotidianamente sui social media con gli hater, con il linguaggio d’odio ad ogni livello, con stereotipi e luoghi comuni che sviliscono la donna nella nostra società. Sono parole che vorremmo cestinare e dimenticare, rendere desuete. Ma che sono lì, presenti e ingombranti, con tutto il carico di ferocia, ignoranza, volgarità e brutalità. Nessuno ne sia indifferente, è un battaglia di civiltà i cui primi attori devono essere gli uomini. Uomini che rispettano le donne

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